Voucher sì, voucher no! Riesplode la polemica dopo l’introduzione delle nuove regole relative al lavoro occasionale accessorio. In primis è la CGIL a “fare fuoco e fiamme”. “La nostra battaglia non finisce qui. Ricorreremo alla Corte”. Lo ha annunciato il segretario generale Susanna Camusso durante la manifestazione di protesta tenutasi sabato scorso a Roma contro i contratti di prestazione occasionale, i nuovi ticket disegnati dal Parlamento nella manovra di correzione dei conti pubblici. Regole che, nelle intenzioni del governo, colmano le lacune derivanti dalla soppressione dei voucher, istituendo il libretto famiglia e il contratto di prestazione occasionale.
Nello specifico, la nuova normativa, fa notare l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), si differenzia da quella precedente per una serie di fattori. In primo luogo, la definizione del campo delle attività retribuibili. Per i buoni lavoro, infatti, non era prevista alcuna limitazione, mentre per il contratto di prestazione occasionale il perimetro delle attività svolgibili viene circoscritto dalle limitazioni poste ai “Committenti delle attività”. Le Amministrazioni pubbliche, ad esempio, possono, nel rispetto delle norme sul contenimento dei costi, utilizzare lavoro accessorio per le seguenti fattispecie:
a) progetti speciali a favore di categorie svantaggiate;
b) lavori di emergenza per eventi naturali improvvisi;
c) attività di solidarietà in collaborazione con enti o associazioni;
d) manifestazioni sociali, sportive, culturali, caritative.
L’utilizzo deve avere natura temporanea ed eccezionale.
Per quanto riguarda, invece, il libretto famiglia sono ammesse soltanto le seguenti attività:
1) piccoli lavori domestici, compresi quelli di giardinaggio, pulizia e manutenzione;
2) assistenza domiciliare a bambini e persone anziane o ammalate o affette da disabilità;
3) insegnamento privato supplementare.
In entrambi i casi le attività svolte per il medesimo committente devono rispettare il limite delle 280 ore di lavoro nell’anno civile. Altre novità riguardano i tetti ai compensi. In precedenza, i compensi da lavoro accessorio pagato con voucher non potevano eccedere i 7.000 euro netti (9.333 lordi) per anno civile nel complesso dei committenti; il tetto scendeva a 3.000 euro netti (4.000 lordi) se il lavoratore era anche percettore di prestazioni integrative del reddito da lavoro o di sostegno del reddito. Committenti imprenditori e professionisti non potevano corrispondere al singolo lavoratore più di 2.020 euro netti (2.693 lordi) per anno civile. Tutte le soglie erano indicizzate all’inflazione. Oggi, invece, i compensi da lavoro occasionale accessorio devono rispettare i seguenti tre vincoli:
– il prestatore non può ricevere più di 5.000 euro per anno civile dal complesso dei committenti;
– il committente non può erogare più di 5.000 euro per anno civile al complesso dei prestatori di cui si avvale;
– il prestatore non può ricevere più di 2.500 euro per anno civile dallo stesso committente. Se si supera il limite annuale di 280 ore di lavoro e/o il limite annuale di 2.500 euro nel rapporto tra prestatore e singolo committente, il rapporto di lavoro deve trasformarsi a tempo pieno e indeterminato (tranne quando committente sono le Amministrazioni pubbliche).
Dal testo normativo – evidenzia l’Ufficio parlamentare di bilancio – non emerge con chiarezza se i limiti ai compensi debbano ritenersi netti o lordi degli oneri contributivi e gestionali e se debbano intendersi indicizzati all’inflazione. Ai fini del calcolo dei limiti viene computato solo al 75% il compenso ricevuto da titolari di pensione di vecchiaia e invalidità, da giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studi scolastico o universitario, dai disoccupati e da percettori di prestazioni integrative del reddito da lavoro, di REI (Reddito di inclusione) o di altre prestazioni di sostegno del reddito.
Un’altra differenza significativa tra la normativa attuale e quella precedente riguarda la tipologia dei committenti delle attività. Il Jobs Act prevedeva il divieto di ricorso ai voucher per l’esecuzione di appalti di opere e di servizi (in primo luogo nell’edilizia). Attualmente è vietato il ricorso al contratto di prestazione occasionale per i seguenti soggetti:
1) imprese con oltre 5 lavoratori subordinati a tempo indeterminato;
2) imprese attive in edilizia, escavazione, lavorazione lapidei, estrazione in miniere, cave, torbiere;
3) imprese esecutrici di appalti di opere e servizi. Escluse anche le imprese del settore agricolo, salvo pensionati, disoccupati, studenti e percettori di prestazioni integrative del salario.
In merito ai prestatori delle attività, il Jobs Act prevedeva limitazioni per il settore agricolo. In agricoltura potevano essere impiegati:
*pensionati e giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi scolastico, in attività occasionali e stagionali;
*giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi universitario, in attività occasionali con e senza stagionalità. I piccoli imprenditori agricoli non avevano vincolo di occasionalità e/o stagionalità del lavoro e non dovevano limitarsi a studenti e pensionati, ma non potevano avvalersi di prestatori che l’anno prima erano stati iscritti agli elenchi dei lavoratori agricoli.
Anche il contratto di prestazione occasionale prevede limitazioni per il settore agricolo. E’ possibile avvalersi esclusivamente di:
1) pensionati di vecchiaia e invalidità;
2) giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studi scolastico o universitario;
3) disoccupati;
4) percettori di prestazioni integrative del reddito da lavoro, di REI (Reddito d’inclusione), o di altre prestazioni di sostegno del reddito. Condizione comune a queste categorie è che nessuno sia stato iscritto l’anno prima negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
Per quanto riguarda il livello minimo dei compensi, ogni voucher era orario e aveva valore nominale di 10 euro e inglobava un compenso netto per il prestatore di 7,5 euro (importo modificabile con DM). Faceva eccezione il settore agricolo per il quale l’importo poteva essere diverso e tenere conto della retribuzione media oraria stabilita dal contratto collettivo per il lavoro subordinato nelle medesime attività. Tale possibilità non è mai stata applicata. Un’ora di lavoro poteva essere retribuita anche con più di un voucher.
Il libretto Famiglia contiene titoli di pagamento (i cosiddetti ‘voucher elettronici’) del valore nominale di 10 euro l’uno. Il singolo voucher può remunerare non più di un’ora di lavoro e un’ora di lavoro può essere retribuita anche con più di un voucher. La singola ora di lavoro occasionale accessorio, invece, non può essere remunerata meno di 9 euro. Nel settore agricolo il minimo è pari alla retribuzione media oraria stabilita dal contratto collettivo per il lavoro subordinato. In entrambi i casi non è previsto il voucher cartaceo.
Infine, riguardo al trattamento tributario, sia la normativa attuale che quella precedente prevede compensi esenti da imposta. In merito al trattamento previdenziale e assicurativo, invece, la contribuzione sociale obbligatoria (inglobata nel voucher) comprendeva contributi pensionistici del 13% alla Gestione separata dell’INPS e assicurativi per gli infortuni sul lavoro del 7% all’INAIL. Ora sono a carico del committente la contribuzione pensionistica del 33% alla Gestione separata dell’INPS , la contribuzione assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali del 3,5% all’INAIL.
Nel caso del libretto famiglia, per ogni voucher utilizzato, oltre ai 10 euro di valore nominale, sono a carico del committente 1,65 euro di contribuzione pensionistica alla Gestione separata dell’INPS, 0,25 euro di contribuzione assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali all’INAIL. A differenza che nel Jobs Act, adesso si specifica che, assieme agli infortuni sul lavoro, sono assicurate anche le malattie professionali.