Nell’ipotesi in cui uno dei componenti di una unione civile proponga
domanda di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, e entrambi
intendano proseguire la loro relazione trasformandola in matrimonio, i
diritti della coppia non si estinguono nel periodo compreso tra la cessazione
del vincolo pregresso e la celebrazione del matrimonio stesso.
E’ quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza 66 del 2024,
che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della
legge 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. legge sulle unioni civili) nella parte in cui
stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso
determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere,
laddove il richiedente la rettificazione e l’altra parte dell’unione
rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza
di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che
il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento
del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il
termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di
rettificazione.
La questione era stata sollevata dal Tribunale di Torino, nel corso di un
giudizio introdotto, per la rettifica di sesso da uno dei componenti di una
unione civile. Il giudice a quo aveva ravvisato il contrasto della normativa
censurata, oltre che con l’art. 2, anche con l’art. 3 Cost., lamentando la
disparità di trattamento rispetto alla ipotesi, speculare, in cui il percorso di
transizione di genere sia attraversato da una coppia in origine eterosessuale,
e unita in matrimonio: in tale ipotesi l’art. 1, comma 27, della stessa legge
n. 76 del 2016 dispone che, ove i coniugi abbiano manifestato personalmente
e congiuntamente al giudice, nel corso del giudizio per rettificazione di
sesso, la volontà di proseguire la loro relazione dando vita ad una unione
civile, alla rettificazione di sesso consegue l’automatica instaurazione
dell’unione civile.
La Corte ha escluso la violazione dell’art. 3 Cost., sottolineando che, se pure
il vincolo derivante dalla unione civile produce effetti molto simili a quelli
del matrimonio, si tratta pur sempre di effetti non del tutto coincidenti, e,
in parte, di estensione ridotta rispetto al vincolo coniugale, e ricompresa nel
più ampio spettro dei diritti ed obblighi da questo originati. La obiettiva
eterogeneità delle situazioni a confronto esclude pertanto, la fondatezza del
dubbio di contrasto con l’art. 3 Cost.
Quanto al sospetto di contrasto della disciplina censurata con l’art. 2 Cost.,
la Corte ha anzitutto rilevato che l’unione civile costituisce una formazione
sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, ed è
connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del
matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed
esplicazione del diritto fondamentale della persona di vivere liberamente una
condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri. Ciò posto, i giudici della
Consulta hanno rilevato che i componenti della unione civile, ove
manifestino la volontà di conservare il rapporto nella diversa forma del
matrimonio a seguito dello scioglimento automatico del vincolo pregresso
quale effetto della sentenza di rettificazione anagrafica del sesso di uno di
essi, vanno comunque incontro, nel tempo necessario alla celebrazione del
matrimonio stesso, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del
complessivo regime di diritti e doveri di cui erano titolari in costanza
dell’unione civile. Tale mancanza di tutela entra in frizione con il diritto
inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di
sessualità costituisce espressione. Non senza considerare, aggiunge la Corte,
che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo la nuova
forma legale, i componenti potrebbero essere colpiti da eventi destinati a
precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo.
Tuttavia, avuto riguardo alle differenze già evidenziate tra unione civile e
matrimonio, osserva la Corte, il rimedio a tale situazione non può essere
quello di omologare le due situazioni, estendendo al caso di scioglimento
della prima l’effetto di automatica trasformazione in matrimonio che l’art.
1, comma 27, della legge n. 76 del 2016 prevede nel caso di passaggio dal
secondo alla prima. Il rimedio deve, invece, consistere nella sospensione
degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario
affinché le parti celebrino il matrimonio, sempre che esse abbiano
manifestato tale volontà davanti al giudice durante il giudizio di rettificazione
del sesso, fino alla udienza di precisazione delle conclusioni, analogamente a
quanto prevede per i coniugi nell’ipotesi inversa, l’art. 31, comma 4-bis, del
d.lgs. n. 150 del 2011.
La durata di tale sospensione è stata individuata dalla Corte nel termine di
180 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, termine
mutuato dall’art. 99 cod.civ., che prevede lo stesso termine per la
celebrazione del matrimonio, con decorrenza dalle pubblicazioni.
Da tale pronuncia consegue che l’ufficiale dello stato civile, ricevuta la
comunicazione del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del
sesso con la dichiarazione del giudice relativa alla sospensione degli effetti
dello scioglimento del vincolo, deve procedere alla relativa annotazione.
Pertanto la Corte ha altresì dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art.
70-octies, comma 5, del D.P.R. n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello stato
civile, per la mancata previsione di tale incombenza.
Fonte: Ufficio stampa Corte Costituzionale