Con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019 la seconda sezione del Tar Piemonte ha stabilito che, nel caso in cui un privato richieda la concessione di spazi pubblici per propaganda politica ed elettorale, non appare irragionevole che l’amministrazione comunale richieda, al fine di valutare la meritevolezza dell’interesse dedotto, una dichiarazione di impegno al rispetto dei valori costituzionali e, in particolare, di ripudio del fascismo e nazismo e di adesione ai valori dell’antifascismo, e ciò anche al fine dell’eventuale revoca della concessione in caso di violazione dell’impegno assunto.
I giudici amministrativi piemontesi hanno sottolineato, in particolare, che i valori dell’antifascismo e della Resistenza e il ripudio dell’ideologia autoritaria propria del ventennio fascista sono valori fondanti la Costituzione repubblicana del 1948, non solo perché sottesi implicitamente all’affermazione del carattere democratico della Repubblica italiana e alla proclamazione solenne dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo, ma anche perché affermati esplicitamente sia nella XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, sia nell’art. 1 della legge “Scelba” n. 645 del 20 giugno 1952.
La legge “Scelba” n. 645 del 20 giugno 1952, nel dare attuazione alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, ha individuato come manifestazioni esteriori di ricostituzione del partito fascista il perseguire finalità antidemocratiche proprie del partito fascista attraverso, tra l’altro, la minaccia o l’uso della violenza quale metodo di lotta politica, il propugnare la soppressione delle libertà costituzionali, lo svolgere propaganda razzista, l’esaltare principi, fatti e metodi propri del predetto partito, il compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista e il denigrare la democrazia, le sue istituzione o i “valori della Resistenza”.
I principi affermati nelle predette norme, spiegano i giudici del Tar Piemonte, costituiscono un limite alla libertà di manifestazione del pensiero, di riunione e di associazione degli individui, le quali non possono esplicarsi in forme che denotino un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione del disciolto partito fascista.
Ciò chiarito in line a generale, il Tar ha ricordato che la disciplina dell’occupazione del suolo pubblico è demandata ai Comuni, sia in ordine alla individuazione dei presupposti che in ordine alla determinazione del canone. La legge, in particolare, non predetermina le finalità in vista delle quali può essere attribuito a privati l’uso esclusivo del suolo pubblico, ma rimette ai Comuni il potere di regolamentarle e valutarle caso per caso, in funzione della meritevolezza dell’interesse perseguito e della sua idoneità a giustificare la sottrazione temporanea del bene pubblico all’utilizzo collettivo.