Qualora la Corte di giustizia UE, nel decidere le questioni pregiudiziali prospettate dal giudice a quo, formuli un determinato principio di diritto, spetta pur sempre al giudice a quo stesso l’applicazione di tale principio al caso concreto, se necessario considerando e valorizzando aspetti non presi in considerazione dalla Corte di giustizia; sicché la decisione di quest’ultima non determina, automaticamente, l’esito del giudizio a quo (1).
(1) Non risultano precedenti negli esatti termini.
Nel caso di specie, un comune ligure aveva contestato la scelta della provincia di La Spezia, in qualità di ente d’ambito, di confermare una procedura di aggregazione del soggetto gestore del servizio rifiuti, che dalla sua originaria forma in house era divenuto una società mista dopo una gara a doppio oggetto volta ad individuare il soggetto aggregatore. Il Consiglio di Stato aveva sollevato alcune questioni pregiudiziali dinanzi alla Corte di giustizia; e quest’ultima aveva, con sentenza del 12 maggio 2022 C- 719/20, formulato le seguenti conclusioni: “La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa o a una prassi nazionale in forza della quale l’esecuzione di un appalto pubblico, aggiudicato inizialmente, senza gara, ad un ente «in house», sul quale l’amministrazione aggiudicatrice esercitava, congiuntamente, un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, sia proseguita automaticamente dall’operatore economico che ha acquisito detto ente, al termine di una procedura di gara, qualora detta amministrazione aggiudicatrice non disponga di un simile controllo su tale operatore e non detenga alcuna partecipazione nel suo capitale”.
La Corte di giustizia aveva chiaramente evidenziato che non sussistevano, nel caso di specie, i presupposti per l’affidamento in house del servizio, sulla base della considerazione che il comune aveva dismesso la propria partecipazione nell’operatore economico affidatario del servizio e non aveva acquisito partecipazioni azionarie nell’operatore economico, individuato attraverso procedura
di gara pubblica svolta dall’affidatario del servizio quale soggetto aggregatore, e non aveva propri rappresentanti in seno agli organi societari della società individuata tramite la procedura di evidenza pubblica.
Tuttavia, la sezione ha ritenuto che il principio di diritto formulato dalla Corte di giustizia non comportasse necessariamente l’accoglimento dell’appello proposto dal comune, per varie ragioni. In primo luogo, era pacifico che al momento dell’originario affidamento del servizio de quo sussistevano tutti i presupposti previsti dall’ordinamento giuridico (nazionale ed eurounitario) per il c.d. “in house providing”; in secondo luogo, era stata una scelta del comune appellante dismettere le proprie partecipazioni nel soggetto aggregato, rinunciando al requisito del controllo su tale società. In terzo luogo, l’aggregazione era avvenuta tramite gara, addirittura a doppio oggetto, nel rispetto delle norme europee in materia di concorrenza. Infine, il Consiglio di Stato aggiunge che solo la provincia, in quanto ente d’ambito, è competente in materia di affidamento a livello di ambito territoriale, non il comune.
Il Consiglio di Stato, pertanto, valorizzando quegli aspetti della fattispecie concreta, nonché le peculiarità dell’ordinamento italiano, che non erano stati adeguatamente presi in considerazione dalla Corte di giustizia, è pervenuto ad un esito opposto a quello che, prima facie, poteva attendersi in base al principio formulato dalla Corte di giustizia.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it