Con la pronuncia 7070/2019 i giudici della terza sezione del Consiglio di Stato hanno chiarito che alla procedura di “stabilizzazione” del personale, che consista in una procedura selettiva di conferma, nelle funzioni già svolte, di personale precario che quella stessa qualifica ha conseguito tramite pubblico concorso, deve attribuirsi carattere “concorsuale”.
In particolare i giudici di Palazzo Spada hanno sottolineato che l’amministrazione (in questa occasione l’Istituto superiore della sanità), al fine di colmare le proprie scoperture di organico, ben può percorrere la scelta discrezionale di procedere alla stabilizzazione di personale precario, a condizione che tale soluzione si appalesi ragionevole, funzionale al principio di buon andamento, quindi giustificata da peculiari esigenze di interesse pubblico e, sulla base di queste, adeguatamente motivata.
Più precisamente, secondo gli stessi giudici, la stabilizzazione del precariato costituisce soluzione praticabile – in un quadro ordinamentale improntato al criterio assiale dell’accesso al pubblico impiego mediante concorso aperto anche a concorrenti esterni – a patto che: a) siano stabilite preventivamente le condizioni per l’esercizio del potere di assunzione; b) la costituzione del rapporto a tempo indeterminato sia subordinata all’accertamento di specifiche necessità funzionali dell’amministrazione; c) si prevedano procedure di verifica dell’attività svolta; d) i soggetti da assumere abbiano maturato tale esperienza all’interno della pubblica amministrazione e non alle dipendenze di datori di lavoro esterni (Corte cost. n. 215 del 2009); e) la deroga al predetto principio sia contenuta entro limiti tali da non precludere in modo assoluto la possibilità di accesso della generalità dei cittadini al pubblico impiego (Corte cost. n. 108 del 2011).