Le sezioni unite della Corte di Cassazione si soffermano, nell’ordinanza 614/2021, sulla questione del danno da mala gestio e responsabilità degli amministratori delle società in house.
In tema di società di capitali partecipate da enti pubblici, spiegano in particolare gli Ermellini, sussiste l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ove dalle disposizioni statutarie vigenti all’epoca cui risale la condotta ritenuta illecita emerga la sussistenza di tutti i requisiti necessari per la qualificazione della partecipata come società in house províding, la cognizione in ordine all’azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo per i danni cagionati al patrimonio della società spetta alla Corte dei conti. Tale principio rappresenta un’eccezione rispetto alla regola secondo cui la mera assunzione della qualità di socio da parte dello Stato o di un ente pubblico non costituisce una ragione sufficiente ai fini della devoluzione dell’azione di responsabilità alla giurisdizione contabile. Al di fuori delle ipotesi della società in house e delle società c.d. legali (quelle, cioè, attraverso le quali l’ente pubblico svolge un’attività amministrativa in forma privatistica), il danno subìto dalla società a causa della mala gestio degli amministratori o dei componenti dell’organo di controllo non è qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio arrecato direttamente allo Stato o all’ente pubblico che rivesta la qualità di socio, dal momento che la distinta soggettività giuridica riconosciuta alle società di capitali e l’autonomia patrimoniale di cui le stesse sono dotate rispetto ai loro soci escludono da un lato la possibilità di riferire al patrimonio di questi ultimi il danno che l’illecito comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio della società, dall’altro la configurabilità di un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente titolare della partecipazione.
L’insussistenza di un vero e proprio rapporto di alterità soggettiva tra la società partecipata e l’ente pubblico partecipante non consente di escludere la possibilità di un concorso tra la giurisdizione ordinaria e quella contabile, in quanto, laddove sia prospettato sia un danno erariale che un danno arrecato alla società, al di là di una semplice interferenza fra i due giudizi, deve ritenersi ammissibile la proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio. Le conclusioni cui è pervenuta l’elaborazione giurisprudenziale, lungi dallo essere smentite dall’art. 12 del d.lgs. n. 175 del 2016, hanno trovato conferma in tale disposizione: la stessa, nel disciplinare la responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica, ha infatti ribadito l’assoggettamento di questi ultimi alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, facendo però salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house.
In merito alla possibilità che l’esclusione del rapporto di alterità soggettiva tra la società in house e l’ente pubblico partecipante conduca, attraverso l’affermazione del concorso tra la giurisdizione del Giudice contabile investito dall’azione di risarcimento del danno erariale e quello ordinario investito della azione sociale di responsabilità, ad una duplicazione di giudicati inerenti al medesimo fatto, si richiama l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la circostanza che le predette azioni abbiano ad oggetto il medesimo danno non costituisce ostacolo alla loro coesistenza, né comporta un rischio di violazione del principio del ne bis in idem: considerato infatti che le due giurisdizioni sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, e tenuto altresì conto della tendenziale diversità di oggetto e di funzione tra i relativi giudizi, il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, e non dà quindi luogo a questioni di giurisdizione ma, eventualmente, di proponibilità della domanda, fermo restando il limite (che può essere fatto valere, se del caso, anche in sede di esecuzione) rappresentato dal divieto di duplicazione del risarcimento, il quale impone a ciascuno dei Giudici di tener conto, nella liquidazione, di quanto eventualmente già riconosciuto nell’altra sede.