Non basta modificare desinenza, dal maschile al femminile o viceversa, a seconda della transizione sessuale, chi decide di cambiare sesso ha diritto a scegliersi un nome totalmente diverso da quello di nascita. Lo ha affermato la Corte di cassazione stabilendo che il nome è “uno dei diritti inviolabili della persona”, un “diritto insopprimibile”. Si conseguenza, a chi chiede una nuova identità anagrafica per ‘registrare’ il mutamento di sesso deve “essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto a una netta cesura con la precedente identità”. Tale decisione della Suprema Corte origina dall’accoglimento della richiesta di un ex-uomo, Alessandro, residente in Sardegna, che non voleva ‘ribattezzarsi’ Alessandra, come invece stabilito dalla Corte di Appello di Torino, ma aveva scelto di chiamarsi Alexandra.
Per i giudici piemontesi, al contrario, non sussistono i presupposti per “un voluttuario desiderio di mutamento del nome” e occorre accontentarsi di “quello derivante dalla mera femminilizzazione del precedente”. Di diverso avviso gli ‘ermellini’ che hanno ribaltato questa posizione: “In accoglimento del ricorso – dispone la sentenza 3877 – va cassata la sentenza impugnata in punto di rettifica consequenziale del nome e, decidendo nel merito, va ordinato all’ufficiale di Stato civile del Comune di Cagliari di rettificare l’atto di nascita nel senso che, unitamente alla rettificazione del sesso da maschile al femminile, sia riportato il prenome ‘Alexandra’, in luogo di ‘Alessandro’, provvedendo alle annotazioni susseguenti”. Si tratta di una “novità”, l’affermazione del diritto alla scelta del nome dopo la transizione sessuale, rilevano gli stessi ‘ermellini’. Con questo stesso verdetto, la Cassazione ricorda – come già affermato dalla Consulta nel 2015 e nel 2017 – che per ottenere la rettificazione anagrafica dell’identità di genere, “il trattamento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali anatomici primari” non è un “presupposto imprescindibile”, una volta che “non corrispondano più al sesso attribuito nell’atto di nascita i caratteri sessuali e identitari attuali”. In pratica il nuovo documento d’identità deve essere rilasciato anche in caso di non “compiutezza del percorso di transizione” da un genere all’altro, perchè quel che conta sono le caratteristiche sessuali che si ‘maturano’ nel corso della vita e l’aspetto che si assume. Non è richiesto un mutamento irreversibile nato in sala operatoria.