Ai fini del sequestro e della confisca dei beni della criminalità organizzata non è richiesta la dimostrazione che il soggetto sia titolare del bene, giacché è sufficiente accertare che possa in qualsiasi maniera determinarne la destinazione o l’impiego. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sezione III, con la sentenza 22 ottobre 2020, n. 638, spiegando che tali misure preventive reali sono quindi legittimamente disposte su tutti quei beni di cui il soggetto “risulta poter disporre direttamente o indirettamente”. Per disponibilità si intende una situazione di fatto tra il soggetto indiziato e la cosa, a nulla rilevando l’esistenza dei vari titoli giuridici. Esula, del resto, dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per rientrare in quella del giudice penale, la valutazione dei presupposti di applicazione della confisca e della sua perdurante efficacia, con la conseguenza che i vizi di cui le stesse sarebbero affette non possono essere fatti valere in occasione dell’ordine di rilascio dell’immobile. Ha ricordato, inoltre, il Consiglio che il sequestro e la confisca possono avere a oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere la sussistenza di una presunzione di “disponibilità” di tali beni da parte del prevenuto – senza necessità di specifici accertamenti – in assenza di elementi contrari (Cass., sez. V, 26 ottobre 2015, n. 266142).
Di recente la Cassazione penale (sez. VI, 25 giugno 2020, n.21056) ha ritenuto che in tema di confisca di prevenzione, il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi individuati dalla l. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3 (e oggi dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011) costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui all’art. 2 ter, penultimo e ultimo comma, della stessa legge (ora dall’art. 26, comma 2, del decreto sopra richiamato), circostanza di fatto significativa della fittizietà dell’intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo che risulta titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica. In siffatti casi, se è vero che in linea generale incombe sull’accusa l’onere di provare, sulla base di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, la sussistenza della disponibilità dei beni in capo al proposto; per altro verso, è parimenti incontrovertibile che la riferita titolarità dei beni ai terzi ivi considerati introduce un elemento logico che lascia coerentemente presumere la “disponibilità” di tali beni da parte del prevenuto – senza necessità di ulteriori specifici accertamenti – in assenza di elementi contrari. Deve trattarsi, tuttavia, di una condizione di incapienza patrimoniale del terzo legato da vincolo di parentela o convivenza che rilevi oggettivamente in funzione del giudizio di sproporzione e che sia tale da dimostrare ex se attraverso l’inferenza logica una disponibilità del bene in capo al proposto (cfr. Cass. pen., sez. VI, 15 giugno 2017, n.43446; id., S.U, 22 dicembre 2016, n. 12621).
Lo stesso Consiglio di Stato, sez. III, con le sentenze 5 febbraio 2020, n. 926 e 10 aprile 2019, n. 2364,
ha ricordato che ai sensi degli artt. 45, 47 e 48, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nonché dell’art. 823 c.c., il bene acquisito per effetto della confisca ha ormai assunto una impronta rigidamente pubblicistica, che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, che determinano l’assimilabilità del regime giuridico della res confiscata a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato. Ne consegue che l’ordinanza di sgombero costituisce esercizio necessitato di un potere autoritativo, dovendo l’Agenzia comunque assicurare al patrimonio indisponibile dello Stato i beni stessi per la successiva destinazione a finalità istituzionali e sociali, sottraendoli ai soggetti nei confronti dei quali è stata applicata, in via definitiva, la misura patrimoniale.
Ciò comporta, da un lato, che non sussiste alcun obbligo di motivazione in capo all’Agenzia nel disporre il provvedimento di sgombero dell’immobile confiscato, né di svolgere valutazioni comparative di interessi prima di procedere all’adozione dell’ordinanza di sgombero, neppure con riferimento alla tempistica per la sua esecuzione; dall’altro lato, comporta che, essendo l’atto vincolato al solo presupposto della definitività della confisca, non possano essere dedotte in sede amministrativa censure relative alla fase pregressa di competenza del giudice penale.
Fonte: Giustizia Amministrativa