Non vi è una oggettiva incompatibilità tra la figura del professionista, ai sensi della normativa sulle pratiche commerciale scorrette, e quella di hosting provider, ai sensi della normativa sul commercio elettronico; è possibile sanzionare le condotte che violano le regole della correttezza professionale ma non è consentito che mediante l’applicazione della disciplina sulle pratiche scorrette si impongano all’hosting provider prestazioni non previste dalla disciplina sul commercio elettronico e dallo specifico contratto concluso.
Ha ricordato la Sezione che l’hosting provider è disciplinato dal d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, ha dato attuazione alla direttiva 2000/31/Ce, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.
La nozione di “servizi della società dell’informazione” ricomprende i servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, mediante attrezzature elettroniche di trattamento e di memorizzazione ed a richiesta individuale di un destinatario dei servizi stessi (art. 2, lett. a della suddetta direttiva).
Il provider è il soggetto che organizza l’offerta ai propri utenti dell’accesso alla rete internet e dei servizi connessi all’utilizzo di essa.
Si distinguono, ai sensi del decreto in esame, tre figure di soggetti che operano nel presente mercato, articolate in ragione della tipologia di prestazione resa a cui corrisponde una specifica forma di responsabilità: i) attività di semplice trasporto – mere conduit (art. 14); ii) attività di memorizzazione temporanea – caching (art. 15); iii) attività di memorizzazione di informazione – hosting (art. 16).
In relazione a tale ultima attività la giurisprudenza europea distingue due figure di hosting provider.
La prima figura è quella di hosting provider “passivo”, il quale pone in essere un’attività di prestazione di servizi di ordine meramente tecnico e automatico, con la conseguenza che detti prestatori non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali forniscono i loro servizi.
La seconda figura è quella di hosting provider “attivo”, che si ha quando, tra l’altro, l’attività non è limitata a quanto sopra indicato ma ha ad oggetto anche i contenuti della prestazione resa (Corte di Giustizia eur. 7 agosto 2018, punti 47 e 48; si v. anche Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2019, n. 7708).
La Sezione ha già evidenziato come non vi sia una oggettiva incompatibilità tra la figura del professionista, ai sensi della normativa sulle pratiche commerciale scorrette, e quella di hosting provider, ai sensi della normativa sul commercio elettronico.
Esse, però, devono essere coordinate nel senso che è possibile sanzionare le condotte che violano le regole della correttezza professionale ma non è consentito che mediante l’applicazione della disciplina sulle pratiche scorrette si impongano all’hosting provider prestazioni non previste dalla disciplina sul commercio elettronico e dallo specifico contratto concluso.
In termini di ulteriore approfondimento del ruolo degli internet providers, va evidenziato che nel vigente ordinamento, se per un verso, viene riconosciuta l’importanza di questi soggetti sia dal punto di vista economico – essi intermediano la maggior parte delle attività imprenditoriali che hanno luogo in rete – sia dal punto di vista socio-culturale – essi permettono la circolazione e l’accesso all’informazione, per altro verso, da più parti si lamenta che gli illeciti telematici avvengano proprio in virtù dell’attività svolta dagli intermediari di Internet, che devono dunque essere coinvolti nella responsabilità o almeno nelle operazioni di prevenzione e rimozione di tali illeciti.
In tale contesto, se si guarda al regime di responsabilità degli Internet service providers, oggi in vigore nel nostro ordinamento, la scelta operata dal legislatore europeo e, conseguentemente, nazionale è stata quella di affiancare alle normative già esistenti – la disciplina generale sulla responsabilità da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. e, più in generale, le ordinarie regole della responsabilità civile – alcune norme speciali, ad altro contenuto tecnico, sulla responsabilità dei prestatori di servizi nella società dell’informazione.
Tali norme, secondo la prospettazione accolta anche dalla giurisprudenza civile (cfr. ad es. Cass. civ. sez. I, 19 marzo 2019, nn. 7708 e 7709), dettano il criterio di imputazione della responsabilità della colpa, che viene ad essere dotato di un contenuto di specificità, e, ad un tempo, conformato e graduato, ex lege, per così dire, ritagliato, a misura dell’attività professionale svolta dai prestatori dei servizi Internet.
Secondo tale condiviso orientamento, va esclusa la responsabilità in caso di mancata manipolazione dei dati memorizzati; in tale contesto si valorizza la varietà di elementi idonei a delineare la peculiare figura dell’hosting attivo, comprendente attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione.
Trattasi all’evidenza, anche dinanzi all’evoluzione tecnologica, di indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti. Ciò che rileva è che deve trattarsi, in ogni caso, di condotte che abbiano in sostanza l’effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte degli utenti, il cui accertamento in concreto non può che essere rimesso al giudice di merito.