È costituzionalmente illegittimo l’art. 243-bis, c. 5, del d.gs. n. 267/2000 (TUEL), nella parte in cui non consente agli enti locali di avvalersi del termine di 60 giorni per deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale (termine riconosciuto dal medesimo art. 243-bis, c. 5, II periodo, per la rimodulazione del piano, alle amministrazioni insediatesi dopo che esso sia stato presentato dalla precedente amministrazione) quando, durante la pendenza del termine per deliberare il piano, sia subentrata una nuova compagine amministrativa.
La Corte costituzionale, con la sentenza 34/2021, ha dunque stabilito che è costituzionalmente illegittimo l’art. 243-bis, c. 5, del d.gs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine perentorio di cui all’art. 243-bis, c. 5, primo periodo, ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, c.2, del d.lgs.6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42).
Viola, infatti, i principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente, nonché il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, l’automatico avvio al dissesto quando una nuova amministrazione sia subentrata alla guida dell’ente e, chiamata a farsi carico della pesante eredità ricevuta dalle precedenti gestioni, non sia stata messa nella condizione di predisporre il PRFP per l’assegnazione di un termine che decorre da epoca anteriore al suo insediamento ed è sganciato dal momento in cui acquisisce, con la sottoscrizione della relazione di inizio mandato, piena contezza della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e della misura dell’indebitamento. Ciò finisce inevitabilmente per pregiudicare il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse con violazione dell’art. 81, Cost., e impedisce di esercitare pienamente il mandato elettorale, confinando la posizione dei subentranti in una condizione di responsabilità politica oggettiva, con pregiudizio dell’art. 1 Cost.
Oltre che contrario ai citati parametri e diseconomico, il meccanismo delineato dalla normativa censurata collide, altresì, con il principio di ragionevolezza (sotto un ulteriore profilo) e con l’interdipendente principio di buon andamento (art. 97, secondo comma, Cost.), in quanto costituisce conseguenza sproporzionata e non coerente con la ratio sottesa alla procedura di riequilibrio, che è proprio quella di porre rimedio alla situazione deficitaria dell’ente locale ove sia concretamente possibile, mettendo i nuovi depositari del mandato elettorale nella condizione di farsene pienamente carico.