Una federazione sportiva nazionale, come l’italiana FIGC, può essere assoggettata alle norme in materia di affidamento degli appalti pubblici se esercita attività di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale. La Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) ha organizzato una procedura negoziata per l’affidamento dei servizi di facchinaggio al seguito delle squadre nazionali di calcio e presso il magazzino della FIGC per una durata di tre anni. All’esito di tale procedura, uno degli offerenti invitati a partecipare alla procedura stessa, al quale però l’appalto non è stato attribuito, ha presentato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio un ricorso per contestare le modalità di svolgimento di tale procedura. Secondo detto offerente, la FIGC deve essere considerata come un organismo di diritto pubblico e avrebbe dunque dovuto rispettare le regole di pubblicità previste dalla normativa in materia di appalti pubblici. Poiché il Tar Lazio ha accolto il ricorso e annullato l’affidamento dell’appalto in questione, la FIGC e il soggetto cui essa aveva affidato l’appalto hanno entrambi proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato contro la decisione di detto tribunale. Dinanzi al Consiglio di Stato, le parti suddette hanno, in particolare, contestato la premessa secondo cui la FIGC dovrebbe essere qualificata come «organismo di diritto pubblico».
Alla luce di tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia europea due questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione della direttiva 2014/24/UE in materia di affidamento degli appalti pubblici. Tale giudice intende chiarire se la FIGC soddisfi alcuni presupposti, enunciati dalla direttiva di cui sopra, per poter essere qualificata come «organismo di diritto pubblico» ed essere così tenuta ad applicare le norme in materia di affidamento degli appalti pubblici. Più in concreto, il giudice del rinvio chiede alla Corte Ue di interpretare, da un lato, il presupposto secondo cui un «organismo di diritto pubblico» deve essere stato creato per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale (Articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera a), della direttiva 2014/24) e, dall’altro, il presupposto secondo cui la gestione di un organismo siffatto deve essere posta sotto la vigilanza di un’autorità pubblica (Articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24). Tutto ciò premesso, come si è pronunciata la Corte Ue?
Con la sentenza del 3 febbraio 2021, cause riunite C 155/19 e C 156/19, la Corte di giustizia europea rileva in primo luogo che, in Italia, l’attività di interesse generale costituita dallo sport viene realizzata da ciascuna delle federazioni sportive nazionali nell’ambito di compiti a carattere pubblico espressamente attribuiti a queste federazioni dalla normativa nazionale, con la precisazione che vari di questi compiti sembrano essere privi di carattere industriale o commerciale. La Corte ne inferisce che, qualora assicuri effettivamente la realizzazione di compiti siffatti, una federazione sportiva nazionale, come la FIGC, può essere considerata come creata per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.
La Corte precisa che tale conclusione non viene rimessa in discussione dal fatto che, da un lato, la FIGC ha la veste giuridica di un’associazione di diritto privato e che, dall’altro lato, essa persegue, insieme ad attività di interesse generale tassativamente elencate dalla normativa nazionale, altre attività che costituirebbero una gran parte dell’insieme delle sue attività e che sarebbero autofinanziate. In secondo luogo, per quanto riguarda la questione se la gestione di una federazione sportiva nazionale debba essere considerata assoggettata al controllo di un’autorità pubblica come, nel caso di specie, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), la Corte giudica che un’amministrazione pubblica incaricata, essenzialmente, di dettare regole in materia sportiva, di verificare la loro corretta applicazione e di intervenire unicamente a livello dell’organizzazione delle competizioni e della preparazione olimpica senza disciplinare l’organizzazione e la pratica nel quotidiano delle diverse discipline sportive, non può essere considerata, di primo acchito, come un organo gerarchico capace di controllare e di dirigere la gestione delle federazioni sportive nazionali. Essa aggiunge che l’autonomia di gestione conferita alle federazioni sportive nazionali in Italia sembra, in linea generale, deporre in senso contrario all’esistenza di un controllo attivo del CONI esteso al punto che quest’ultimo sarebbe in grado di influire sulla gestione di una federazione sportiva nazionale come la FIGC, segnatamente in materia di affidamento di appalti pubblici.
Tuttavia, la Corte Ue precisa che una presunzione siffatta può essere rovesciata qualora sia dimostrato che i diversi poteri di cui il CONI è dotato nei confronti della FIGC hanno come effetto di creare una dipendenza di tale federazione nei confronti del CONI al punto tale che quest’ultimo possa influire sulle decisioni della federazione suddetta in materia di appalti pubblici. Pur sottolineando che spetta al giudice del rinvio verificare l’esistenza di una dipendenza accompagnata da una siffatta possibilità di influenza, la Corte fornisce delle precisazioni intese a guidare tale giudice nella sua decisione. In tale contesto, la Corte indica in particolare che, al fine di valutare l’esistenza di un controllo attivo del CONI sulla gestione della FIGC e di una possibilità di influenza sulle decisioni di quest’ultima in materia di appalti pubblici, l’analisi dei diversi poteri di cui il CONI è investito nei confronti della FIGC deve essere oggetto di una valutazione d’insieme.
Inoltre, essa rileva che, nell’ipotesi in cui si concludesse che il CONI controlla la gestione delle federazioni sportive nazionali, il fatto che queste ultime possano esercitare, in virtù della loro partecipazione maggioritaria nei principali organi del CONI, un’influenza sull’attività di quest’ultimo è pertinente soltanto qualora sia possibile dimostrare che ciascuna delle federazioni sportive nazionali, singolarmente presa, è in grado di esercitare un’influenza significativa sul controllo di gestione esercitato dal CONI nei confronti della federazione stessa, sicché tale controllo venga neutralizzato e tale federazione ritrovi così il dominio sulla propria gestione.
Fonte: Corte di Giustizia Ue