I tagli alla spesa dei Comuni non sono validi se non tengono conto delle esigenze degli enti, né contengono l’indicazione di una scadenza. A dirlo è la Corte costituzionale, che dopo aver esaminato il ricorso al Tar di due Comuni pugliesi, Lecce e Andria, ha stabilito l’illegittimità di parte del secondo decreto sulla spending review del governo Monti, del luglio 2012. La spending review del 2012 quindi è incostituzionale, nella parte del decreto in cui ”non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell’anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l’indicazione di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del ministero dell’Interno”. La Corte costituzionale, nella sentenza depositata ieri, risponde ai dubbi sollevati dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, giudicando ”l’illegittimità costituzionale” delle norme contenute nel decreto legge 95 del 2012.
In particolare, ad essere bocciata è quella parte del decreto che prevedeva che i tagli- circa 2,2 miliardi distribuiti nel 2013 – spettassero al ministero dell’Interno, «in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012».
La misura contenuta nel decreto legge spending review prevedeva, per l’anno 2013, la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo per un ammontare complessivo di 2.250 milioni di euro. Il taglio per ciascun comune, secondo quanto stabilito dalla legge, è ”determinato, con decreto di natura non regolamentare del ministro dell’Interno, in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal Siope”.
In particolare, secondo la Consulta, il provvedimento viola l’articolo 119 della Costituzione, che sancisce l’autonomia finanziaria di entrate e di spese di comuni, le province, le città metropolitane e regioni. Inoltre lo stesso articolo stabilisce che ”la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”. ”Nessun dubbio”, secondo la Corte, che le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali. Tuttavia tale incidenza deve essere ”mitigata”, attraverso la garanzia del coinvolgimento degli enti ”nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, e non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione”.