Secondo la terza sezione del Consiglio di Stato è legittimo il diniego di rinnovo o conversine del permesso di soggiorno che era stato rilasciato su falsi presupposti a cittadino extracomunitario entrato in Italia illegalmente.
Ad avviso dei Giudici di Palazzo Spada la sopravvenienza di elementi favorevoli, essenzialmente connessi alla disponibilità di redditi sufficienti al suo sostentamento, rende irrilevante la contestata condotta falsificatrice, inerente alla propria cittadinanza e connessa all’originario conseguimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Deve infatti osservarsi che, nella specie, non si tratta di verificare la sussistenza dei presupposti per il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno – verifica che, secondo l’art. 5, comma 5, d.lg. n. 286 del 1998, deve effettivamente comprendere anche le circostanze sopravvenute all’avvio del procedimento e fino alla sua conclusiva definizione – ma di porre in risalto che il soggiorno in Italia dello straniero è iniziato in maniera illegittima, ovvero in virtù di un titolo di soggiorno conseguito mediante una condotta fraudolenta: vizio non superabile in virtù di fatti sopravvenuti, proprio perché inficiante in maniera irreversibile ed insanabile il titolo originario.
Le disposizioni in tema di regolarizzazione, infatti, essendo volte eccezionalmente a legittimare la presenza sul territorio nazionale di soggetti privi di titolo di soggiorno, non possono essere invocate al fine di desumere, al di fuor del relativo tipizzato procedimento, un generale ed indefinito principio di irrilevanza delle modalità di ingresso dello straniero in Italia, anche nell’ipotesi in cui siano caratterizzate dalla presentazione di dichiarazione non veritiere.
Tale conclusione non è in contrasto con il principio di buon andamento, poiché è interesse dello Stato consentire la legittima permanenza in Italia degli stranieri lavorativamente integrati: basti osservare che, accanto al suddetto principio, non può non tenersi conto di quello (prevalente) a non consentire la permanenza sul territorio nazionale di persone che abbiano trasgredito i doveri basilari di lealtà nei confronti dello Stato di accoglienza, come fatto dall’appellante mediante la contestata dichiarazione fraudolenta.
Tali conclusioni trovano un chiaro addentellato normativo nel disposto dell’art. 4, comma 2, d.lg. n. 286 del 1998, il quale, nel prevedere che “la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l’inammissibilità della domanda”, dimostra che la condotta falsificatrice vizia in maniera radicale il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno, precludendo la possibilità di assumere quello eventualmente rilasciato a presupposto di ulteriori e successivi procedimenti (la cui positiva conclusione finirebbe per protrarre e reiterare il vizio originario).