Nel caso di contestazioni circa la funzionalità delle apparecchiature di rilevazione delle violazioni del Codice della Strada, spetta al giudice accertare se l’apparecchio sia stato o meno sottoposto alle verifiche di funzionalità e taratura.
E’ quanto affermato dalla Cassazione, Sez. II Civile, con l’Ordinanza n. 32909/2018, sul ricorso proposto da un automobilista avverso la sentenza del Tribunale che, accogliendo l’appello del Comune di Bergamo, aveva riformato la decisione del Giudice di pace, dichiarando la infondatezza dell’opposizione circa la illegittimità dell’accertamento eseguito con un macchinario la cui omologazione risultava scaduta.
Il Supremo Collegio ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 2015 che ha dichiarato la incostituzionalità dell’art. 45, comma 6, del decr. legisl. n. 285/1992 (Nuovo Codice della Strada) nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura. Nel caso in esame, quindi, il Tribunale non avrebbe, ad avviso della Corte, fatto buon governo del predetto principio, per cui debba essere cassata su questo punto.
Infondati, sono stati invece ritenuti gli altri motivi di censura: in particolare la contestazione circa il posizionamento del cartello di preavviso ritenuto conforme alle prescrizioni in quanto contenuto nel verbale, ed assistito, come è noto, da fede privilegiata.
Su tale punto, la Cassazione ha dichiarato che le contestazioni delle parti sulla inidoneità del verbale ad attribuire certezza ai fatti attestati, debbono essere svolti necessariamente nel procedimento per querela di falso, e qualora, come nel caso in esame, tale procedimento non risulti attivato, il verbale assume valore di prova della violazione.