La disciplina delle opere di sbarramento idrico – come le dighe, gli impianti a fini antincendio e per l’innevamento artificiale delle piste da sci – assegnate alle Regioni in base alla loro dimensione, non può prevedere la sanatoria di opere che siano state realizzate in mancanza dell’autorizzazione paesaggistica o in difformità dalla stessa. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 201, depositata oggi (redattore Augusto Antonio Barbera). La pronuncia, pur ribadendo la competenza delle Regioni in materia di opere di sbarramento idrico di minori dimensioni, con riferimento sia alla loro costruzione che alla vigilanza delle stesse, dichiara l’incostituzionalità – tra gli altri – dell’articolo 11 della legge veneta n. 23/2020. Si tratta della disposizione con cui la regione Veneto aveva consentito ai proprietari o ai gestori di dighe precedentemente «non denunciate» o «realizzate in difformità dai progetti approvati» di regolarizzarle. La Corte ha ritenuto che questa previsione contrasti con la tutela dell’ambiente perché l’ampio e indistinto riferimento alle opere abusive che essa contiene è idoneo a farvi rientrare anche quelle realizzate in assenza o in violazione dell’autorizzazione paesaggistica, delle quali, quindi, finisce per consentire una “sanatoria”. Ma la regolarizzazione delle opere sotto il profilo paesaggistico – ha spiegato la Corte – concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ed è perciò riservata alla competenza del legislatore statale, che l’ha consentita nelle sole e tassative ipotesi previste dal codice dei beni culturali. L’ampliamento di tali ipotesi ad opera della regione Veneto costituisce, pertanto, violazione di un istituto di protezione ambientale uniforme, valido in tutto il territorio nazionale.