Con la sentenza numero 49, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 13 del decretolegge 6 dicembre 2011, numero 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e
il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22
dicembre 2011, numero 214, sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 53 della
Costituzione.
La Corte ha affermato che anche gli immobili dell’impresa destinati alla vendita e
non locati costituiscono un valido indice di capacità contributiva perché quel che
rileva ai fini dell’obbligo del pagamento dell’IMU è l’astratta possibilità di avvalersi
delle facoltà proprie del diritto reale e non il loro effettivo esercizio, che dipende
esclusivamente dal possessore.
L’imprenditore può difatti decidere autonomamente e liberamente la destinazione
di tali beni e mantenerne il possesso entro la sua sfera di controllo.
La Corte ha infatti chiarito che l’IMU è un’imposta sul patrimonio immobiliare,
avente come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale,
e che un immobile non costituisce un valido indice di capacità contributiva solo se
sia inutilizzabile nonostante uno sforzo diligente per tornarne in possesso, come è
stato deciso nella sentenza numero 60 del 2024, che ha dichiarato incostituzionale la
disciplina dell’IMU nella parte in cui non prevede che non siano soggetti a tale
imposta gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata
denuncia all’autorità giudiziaria.
Spetta al legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità e nei limiti della non palese
irragionevolezza, decidere non solo in ordine all’an, ma anche in ordine al quantum
e ad ogni altra modalità e condizione afferente alla determinazione di agevolazioni e
benefici fiscali (sentenza numero 72 del 2018) secondo un criterio che concili, nel
corso degli anni, le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato
a contribuire ai bisogni della vita collettiva.
Fonte: Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale