L’assetto urbanistico delle città è determinato da diversi fattori e variabili, non ultima quella relativa alle distanze che devono separare gli edifici al fine di garantire spazi, vivibilità e salubrità dei quartieri. Tema non banale, la cui disciplina giuridica è meritevole di approfondimenti e chiarimenti applicativi. Ecco perché la seconda sezione del Consiglio di Stato è tornata ad affrontare la materia con la sentenza n.3367/2019 depositata il 23 maggio, richiamando i seguenti principi recentemente sintetizzati dalla sentenza della IV Sezione n. 6378/2018:
a) l’art. 9 del d.m. del 1968, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettato in tutti i casi, trattandosi di norma volta a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26 gennaio 2001 n. 1108; Cons. Stato, Sez. V, 19 ottobre 1999 n. 1565; da ultimo, Cass. civ., Sez. II, 3 ottobre 2018 n.24076); di conseguenza le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. Al giudice, pertanto, non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell’applicazione della disciplina in materia per equo contemperamento degli opposti interessi (cfr. Cass., Sez. II, 16 agosto 1993 n. 8725 e 7 giugno 1993 n. 6360).
b) La distanza di dieci metri, che deve sussistere tra edifici antistanti, va calcolata con riferimento a ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano (Cons. St., Sez. V, 16 febbraio 1979, n. 89). Tale calcolo si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale, prescindendo altresì dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (Cass., Sez. II, 30 marzo 2001 n. 4715), indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o della progettata sopraelevazione, ovvero ancora che si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all’altra (cfr. Cass., Sez. II, 3 agosto 1999 n. 8383; Cons. St., Sez. IV, 5 dicembre 2005 , n. 6909; id., 2 novembre 2010, n.7731).
c) L’art. 136 d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 41 quinquies, commi 6, 8, 9, della legge n. 1150 del 1942, per cui, in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e di edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti a osservare. E il giudice è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel PRG al posto della norma illegittima (Cass. civ., Sez. II, 29 maggio 2006, n. 12741). La norma, per la sua genesi e per la sua funzione igienico-sanitaria, costituisce quindi un principio assoluto e inderogabile (Cass. civ., Sez. II, n. 11013/2002), che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (Corte Cost., n. 232 del 2005), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (Cass. civ., Sez. II, n. 23495/2006), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che non sono nella disponibilità delle parti (Cons. St., Sez. IV, 3094 del 2007).
d) Ai fini dell’applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione dalle fondamenta di un fabbricato, ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, incidendo così direttamente sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno di una maggiore volumetria e/o dall’utilizzabilità della stessa a fini abitativi (Cass., n. 8383 del 1999, cit.).
e) La sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante. Risulta, in tal caso, inapplicabile il criterio di prevenzione, che si esaurisce, viceversa, con il completamento, dal punto di vista strutturale e funzionale, della prima costruzione (Cass. n. 5049/2018).
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