Non sono fondate le questioni sollevate dal Consiglio di Stato sulle norme che prevedono la “mera sospensione” del pagamento degli interessi durante la procedura di dissesto di un ente locale e non escludono il diritto dei creditori di chiedere il pagamento di quelli maturati successivamente alla dichiarazione di dissesto. È quanto si legge nella sentenza n. 219 depositata oggi (redattore il giudice Angelo Buscema) con cui la Corte costituzionale ha ritenuto le norme sul dissesto contenute nel Testo unico enti locali (articolo 248, quarto comma) espressive di un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela dei creditori, alla base della sicurezza dei traffici commerciali, e l’esigenza di ripristinare i servizi indispensabili per la comunità locale. La Corte ha ricordato che un comune, nell’assumere un impegno di spesa pluridecennale, dovrebbe prestare adeguata considerazione alla relativa sostenibilità finanziaria, con l’indicazione delle risorse effettivamente disponibili, a garanzia di una sana gestione finanziaria. Inoltre, in pendenza della procedura di dissesto, dovrebbe apprestare misure, anche contabili, idonee a garantire il più rapido ripristino dell’equilibrio finanziario. La sentenza spiega che il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione rappresenta un obiettivo prioritario non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, che viene intrinsecamente minato dalle situazioni debitorie non onorate tempestivamente. La Corte ha poi precisato che l’esposizione debitoria per interessi passivi derivanti dal ritardato pagamento assume particolare rilievo anche per lo specifico e oneroso criterio di calcolo, che riduce le effettive risorse da destinare alle finalità istituzionali.
Fonte: Corte Costituzionale