In genere, dopo i 60, la maggior parte dei dipendenti comincia a fare il conto alla rovescia per andare in pensione: non a caso, l’innalzamento dei requisiti previsto dalla riforma Fornero ha creato diversi mal di pancia. C’è chi però il lavoro non lo lascerebbe nemmeno a 66 e 7 mesi o a 67 anni, la soglia di accesso che scatterà dal primo gennaio 2019 per via dell’innalzamento dell’aspettativa di vita media in Italia: in questo caso, è possibile chiedere di rimanere in servizio fino a 70 anni.
Nel settore pubblico e in quello privato si può rimanere al lavoro fino a 70 anni, come stabilito dalla riforma Fornero del 2011, ma solo con il ‘placet’ del datore, sia che si tratti di una pubblica amministrazione che di una impresa privata. In sostanza, occorre un accordo consensuale tra il lavoratore dipendente e il datore per continuare a svolgere l’attività per la quale si è stati assunti. Lo ha stabilito la Cassazione – sentenza 20089 – respingendo il ricorso di un giornalista contro una sentenza della Corte di Appello di Milano del 2016 che aveva ritenuto legittima la risoluzione del rapporto di lavoro adottata dal datore di lavoro per raggiunti limiti di età. Il verdetto dei giudici di legittimità ribadisce quanto stabilito dalla sentenza 17589 delle Sezioni Unite del 2015, e la rafforza con una ulteriore precisazione.
Ad avviso dei giudici milanesi, il lavoratore non ha alcun “diritto potestativo a proseguire nel rapporto di lavoro sino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo, ma rende possibile tale continuazione solo in caso di consensuale accordo tra le parti”.
Così era stato escluso anche il “carattere discriminatorio del recesso” nei confronti del giornalista, impegnato nel sindacato. Con la sentenza depositata dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte, si afferma che la riforma Fornero “nell’incentivare il proseguimento sino al settantesimo anno” non individua “un diritto soggettivo in capo al lavoratore indipendentemente dalla volontà comune del datore di lavoro”.
La riforma varata dal governo Monti con il decreto ‘Salva Italia’, prosegue la massima di diritto del verdetto dei supremi giudici, “dispone una situazione di semplice ‘favor’ nei confronti del prolungamento del rapporto che, considerando i ‘fermi limiti ordinamentali dei rispettivi settori’, presuppone
e richiede la comune volontà delle parti del rapporto sulla prosecuzione dello stesso”. Dunque, anche per i professionisti iscritti alle casse ‘private’, nessun diritto a rimanere al lavoro a ‘oltranza’ senza il ‘placet’ dell’azienda.