La licenza per la somministrazione di alimenti e bevande è un’autorizzazione personale ed intrasmissibile intrinsecamente inadatta ad essere ricompressa tra gli elementi materiali o immateriali il cui insieme costituisce l’azienda. Così hanno stabilito i giudici del Tribunale amministrativo del Lazio nella pronuncia n. 7706 del 6 luglio 2020.
Secondo i giudici amministrativi capitolini la circolazione del titolo abilitativo alla somministrazione è soggetta a differente regolamentazione nel caso di acquisto (per atto inter vivos o mortis causa) dell’azienda rispetto all’affitto della stessa. Nella prima evenienza l’autorizzazione è intestata all’acquirente ed il precedente titolare perde, definitivamente, sulla stessa ogni disponibilità; nella seconda ipotesi il titolo rimane sempre nella disponibilità dell’originario titolare e viene semplicemente, per un dato arco di tempo coincidente con la durata del contratto di affitto, utilizzato dall’affittuario (ove naturalmente sia in possesso dei requisiti soggettivi appositamente richiesti). Quest’ultimo, proprio perché non ne è il titolare, non può trasmetterlo ad altri; e ove il contratto di affitto venga a scadenza ovvero si risolva per altre cause, è solo il titolare dell’autorizzazione che ne può riacquistare la disponibilità (oggi attraverso una Scia di reintestazione), non consentendo la natura personale dell’autorizzazione che sulla stessa si accampino contestuali pretese da parte di soggetti diversi dal titolare.