Le modifiche introdotte all’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 dall’art. 12 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, impongono una riflessione sull’orientamento della giurisprudenza che ha sempre inteso legittimare la p.a. a svolgere, in sede di adozione del provvedimento e del relativo compendio motivazionale, una valutazione complessiva delle osservazioni del privato e a precisare ulteriormente le proprie posizioni giuridiche, con il solo limite della riconducibilità delle ulteriori argomentazioni allo «schema» delineato dalla comunicazione ex art. 10-bis. Allorché siffatte argomentazioni siano meramente ripetitive di quelle già poste a base della domanda del privato può ancora ritenersi insussistente l’obbligo di un’analitica confutazione da parte dell’amministrazione procedente, fermo restando che il provvedimento deve chiaramente dar conto delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni e non limitarsi a dichiarare, come mera formula di stile, l’avvenuta analisi delle stesse (1).
La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto a quanto dettato per il preventivo permesso di costruire, trova giustificazione nella possibilità da accordare al predetto responsabile, coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive, della fruizione di uno strumento giudiziario utile ad evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi. Se, tuttavia, l’autore dell’abuso non è il proprietario esclusivo del bene, l’Amministrazione ha un onere aggravato di approfondimento della posizione dei contitolari, giusta la rilevanza che nel procedimento edilizio assume la figura del proprietario, quale destinatario, ancorché pro quota in caso di comproprietà, della sanzione dell’acquisizione del bene al patrimonio comunale (2).
(1) Il Consiglio di Stato chiarisce che l’istituto del preavviso di diniego costituisce un importante momento di interlocuzione tra p.a. e cittadino, ulteriore e successivo a quello della fase istruttoria vera e propria, connotata dalle forme tipiche della partecipazione. Esso, cioè, finisce per accordare una sorta di seconda chance al privato per ottenere l’accoglimento della propria istanza, mediante un momento di confronto più pregnante e potenzialmente più utile perché si colloca in uno stadio avanzato del processo di “costruzione” della decisione amministrativa, quando cioè la determinazione è orientata negativamente e si rende necessario interagire non ai soli fini della raccolta del materiale ancora carente, ma rispetto al contenuto dispositivo dell’atto da adottare. Anche dopo la recente novella dell’istituto, che ne ha rafforzato la valenza partecipativa, la lettura più rigorosa che ne deriva non si spinge fino alla imposta necessità di controdedurre analiticamente su ogni singola argomentazione, purché l’impostazione del provvedimento argomenti chiaramente in senso reiettivo delle osservazioni del privato e non si limiti a mere formule di stile nel senso dell’avvenuta analisi delle stesse. Quanto detto a maggior ragione ove ridette osservazioni non introducano davvero alcun elemento di novità, ma si concretizzino nella mera ripetizione delle ragioni poste a base della domanda, in contrapposizione al non condiviso prospettato esito negativo. In tale ipotesi, dunque, il richiamo alla mancanza di novità nel contenuto delle osservazioni, già intrinsecamente confutate dal percorso motivazionale seguito, riassume correttamente in sé la loro avvenuta disamina e può essere smentito solo dalla evidenza di elementi, anche singoli, che seppure messi in luce dal privato, sono stati del tutto pretermessi dall’Amministrazione.
Precedenti conformi: sulla non necessaria confutazione analitica delle deduzioni dell’interessato, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 2023, n. 4278; Cons. Stato, sez. VI, 7 aprile 2023, n. 3587; Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2021, n. 3924; Cons. Stato, sez. II, 26 marzo 2021, n. 2566; Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2020, n. 2133; Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2020, n. 961; Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4933; Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 2018, n. 1508; Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2017, n. 873; Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2015, n. 67.
Precedenti difformi: non si segnalano precedenti difformi.
(2) Il Consiglio di Stato chiarisce che l’art. 11 del d.P.R. n. 380 del 2001, recante le «Caratteristiche del permesso di costruire» stabilisce che «il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo» e che l’art. 36 finisce per individuare “chi abbia titolo” nel «responsabile dell’abuso», oltre che nell’«attuale proprietario dell’immobile», con ciò volendo evidentemente abbracciare sia la posizione dell’autore dell’illecito non proprietario, sia quella del subentrante nella titolarità dell’immobile, per tale ragione presumibilmente incolpevole, ma interessato a difendere il valore del proprio bene anche in forza della sua regolarizzazione. Laddove, tuttavia, lo stesso sia anche comproprietario del bene, il dissenso dei contitolari può assumere un maggior rilievo ed imporre un più approfondito scrutinio da parte dell’amministrazione procedente, alla luce del coinvolgimento degli stessi nel procedimento sanzionatorio, da ultimo quali potenziali destinatari dell’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile del Comune. In genere, l’abusività di un’opera non può essere in alcun modo ricondotta all’assenso o dissenso degli altri comproprietari, dovendo dipendere esclusivamente dal rispetto delle regole sulla edificabilità dei suoli e di buon governo del territorio. A ciò consegue che di regola la clausola di salvaguardia dei diritti dei terzi esime l’Amministrazione procedente da qualsivoglia approfondimento circa l’effettiva titolarità della pienezza del diritto proprietario del richiedente, sicché l’emergenza di future problematiche in tal senso non incidono sulla legittimità dell’atto adottato. Qualora tuttavia la carenza di legittimazione piena emerga per tabulas e non richieda né indagini suppletive, né, men che meno, prese di posizione a favore dell’una o dell’altra tesi di parte, l’Ente ha il dovere di compiere quel minimo di indagini necessarie per verificare se le contestazioni sono fondate sul piano quanto meno della legittimità formale e denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento dell’esclusività, in fatto o in diritto, della sua posizione.
Precedenti conformi: Cons. Stato, sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745; Cons. Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1766; Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 2019, n. 6394; Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2019, n. 310; Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2011, n. 5894. Sulla sussistenza della legittimazione a presentare la domanda di sanatoria in capo all’autore dell’abuso si veda Cons. Stato, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4176. Sulla regola generale, secondo la quale l’Amministrazione è tenuta a rilasciare il titolo abilitativo edilizio avendo esclusivo riguardo alla compatibilità urbanistica dell’opera richiesta, lasciando ogni questione afferente a diritti soggettivi alla sua unica sede competente, che è il giudizio civile, di recente, C.g.a., sez. giur., 5 giugno 2023, n. 392.
Precedenti difformi: non si segnalano specifici precedenti difformi.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it