La rimborsabilità all’amministratore delle spese legali sostenute – affermano in via preliminare gli esperti di Anci Risponde analizzando il caso di specie – richiede, oltre alla conclusione del procedimento penale con sentenza di assoluzione o con l’emanazione di un provvedimento di archiviazione, la sussistenza dei seguenti presupposti: assenza di conflitto di interessi tra l’amministratore e l’ente di appartenenza; nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; assenza di dolo o colpa grave; preventiva programmazione della spese in bilancio, nel rispetto del principio dell’invarianza; rispetto del limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 13, comma 6 della legge 31 dicembre 2012, n. 247; predeterminazione, ex articolo 12, legge n. 241/1990, nelle forme previste dal rispettivo ordinamento, dei criteri e delle modalità cui l’ente deve attenersi per l’assegnazione o il riparto dello stanziamento.
Il rimborso delle spese legali – aggiungono inoltre – è ammesso limitatamente a procedimenti penali conclusi con l’esclusione della responsabilità dell’amministratore. Al riguardo la magistratura contabile sancisce: “Solo le pronunce di assoluzione motivate per insussistenza del fatto o perché l’imputato non lo ha commesso, consentono di escludere in radice il conflitto d’interessi. Qualora, invece, siano motivate ai sensi del comma 2, dell’art. 530, del c.p.p. che ricorre quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile, occorrerà altresì verificare l’assenza del conflitto d’interessi con l’ente pubblico”. (cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 158/2017/VSGO). Inoltre, gli amministratori, a differenza dei dipendenti pubblici, non hanno un “diritto” alla tutela legale, con onere a carico dell’ente amministrato, con la conseguenza che gli oneri assicurativi, di cui all’articolo 86, comma 1, primo periodo, T.U.O.L., e/o rimborso delle spese legali, ex articolo 86, comma 2, secondo periodo, T.O.U.E.L., a favore degli amministratori degli enti locali non costituiscono “spese obbligatorie”. (Corte dei conti, sez. regionale Basilicata, n. 45/2017/PAR; da ultimo Corte dei Conti, sez. reg. contr. Campania n. 102/2016).
Venendo alla seconda questione rilevante per il tema posto, gli esperti di Anci Risponde fanno notare che il conflitto d’interessi, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, s’individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo “istituzionale” e un altro di tipo personale. Viene nella sostanza recepito nella norma in esame quel comune sentire che nei riguardi di coloro che amministrano la cosa pubblica si traduce nel detto secondo il quale essi non soltanto debbono essere, ma anche apparire, non in conflitto con l’oggetto della questione che sono chiamati a deliberare (Cons. Stato Sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4806). Di recente, inoltre – sottolineano – la Sezione, con un orientamento dal quale non si ritiene di potersi discostare, si è espressa nel senso che proprio l’obbligo di astensione, tipizzato dall’art. 51 c.p.c., rappresenta un corollario del principio di imparzialità, sancito dall’art. 97 Cost., di cui, assume portata generale, sicché le ipotesi di astensione obbligatoria non sono tassative, e come tali da interpretarsi restrittivamente, ma piuttosto esemplificative di circostanze che mutuano l’attitudine a generare il dovere di astensione direttamente dal superiore principio di imparzialità, che ha carattere immediatamente e direttamente precettivo.
L’obbligo di astensione rinviene la sua ragione giustificativa nel pieno rispetto del principio costituzionale del buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 della Costituzione, posto a tutela del prestigio della pubblica amministrazione e che non tollera alcun tipo di compressione (Consiglio di Stato, Sez. II, 21 ottobre 2019 n. 7113; id. Sez. II, 9 marzo 2020, n. 1654). Alla luce di tutto quanto sopra esposto – conclude Anci Risponde – spetterà innanzitutto all’ente locale interessato valutare la concreta sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per la rimborsabilità delle spese legali sostenute dall’amministratore, mentre riguardo alla eventuale deroga , l’art. 78 d.lgs. n. 267/2000 è chiaro nel limitare l’unica possibile deroga al conflitto di interessi “all’approvazione di atti normativi e amministrativi generali”. In altri termini, dottrina e giurisprudenza circoscrivono la portata dell’obbligo di astensione dell’amministratore dal votare o adottare provvedimenti che lo vedano potenzialmente coinvolto. Del resto: “l’obbligo di astensione del titolare di un pubblico ufficio – nel procedimento di adozione di atti nei quali sia interessato egli stesso o un suo prossimo congiunto – sussiste per il solo fatto che risulti portatore d’interessi personali che possano trovarsi in conflitto con quello generale affidato alle cure dell’organo di cui faccia parte, e opera indipendentemente dall’applicazione della cosiddetta prova di resistenza (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I – 19/7/2005 n. 3396), in quanto la semplice partecipazione alla seduta e alla discussione in posizione di non assoluta imparzialità può in astratto contribuire a influenzare il voto degli altri componenti del consesso.”. (TA.R. Brescia, 30/05/2006, n.648).