La Sezione regionale di controllo per il Molise, nel pronunciarsi sul rendiconto 2018 di un Ente Locale, si è soffermata sui presupposti di legittimità dell’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE), dando ampia motivazione giuridica, di interesse generale, sulle criticità accertate.
Nella fattispecie, l’Ente aveva optato per il metodo di calcolo ordinario (applicando la percentuale determinata come complemento a 100 della media delle riscossioni in c/residui nel quinquennio precedente rispetto ai residui al primo gennaio degli stessi esercizi).
Benchè i principi contabili demandino al singolo Ente il compito di selezionare le categorie di entrata rilevanti ai fini del calcolo, contemporaneamente richiedono che il Comune, fin dal momento della predisposizione degli accantonamenti ai fini della redazione del bilancio di previsione, dia adeguata motivazione dell’eventuale esclusione, dal computo, di entrate in relazione alle quali, alla stregua dell’analisi della serie storica delle riscossioni e dell’id quod plerumque accidit, risulta un’oggettiva difficoltà di assicurare l’integrale esazione.
Esaminato il rendiconto, che indicava genericamente un importo minimo del Fondo e non chiariva il metodo di calcolo prescelto, ascoltata l’Amministrazione in sede di contraddittorio, la Sezione ha osservato che:
- non è consentito variare la modalità di calcolo fra i singoli capitoli cui afferiscono i residui, ma eventualmente solo fra distinte tipologie di residui;
- risulta difficilmente conciliabile con ragioni di coerenza l’adozione, pur se fra diverse tipologie, di metodi operativi diversi nell’ambito della medesima modalità di “media semplice”;
- è, in ogni caso, imprescindibile che l’Ente prefissi espressamente all’interno dei documenti di bilancio la scelta operata, motivandone puntualmente le ragioni, che devono essere tanto più robuste quanto maggiore appare la deviazione dai canoni logico-giuridici di coerenza, prudenza e congruenza;
- ed è, parallelamente, preclusa la facoltà di sollevare difese posticce ad una scelta che sia stata illo tempore adottata senza adeguata motivazione.
Così agendo, ha eccepito la Corte, si è “abusato del diritto contabile”, assicurando il rispetto formale delle sue norme pur nel perseguire uno scopo sostanziale difforme dalla relativa ratio e, nel caso di specie, si è conseguito, nell’applicare la norma contabile disciplinante il FCDE, un risultato difforme sia dalla sua particolare finalità di tutela prudenziale dell’equilibrio di bilancio dell’Ente locale, sia dal generale canone cristallizzato nell’art .119 Cost. per cui “i Comuni, … hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”. Vanno, invece, escluse dal calcolo del FCDE le voci di non dubbia esazione.
Inoltre, in forza del “principio di continuità degli esercizi finanziari, per effetto del quale ogni determinazione infedele del risultato di amministrazione si riverbera a cascata sugli esercizi successivi. Ne risulta così coinvolto in modo durevole l’equilibrio del bilancio” (sentenze Corte costituzionale n. 89 del 2017 e nn. 250 e 266 del 2013), il Comune è tenuto anche a rettificare le scritture contabili degli esercizi seguenti di modo che, in conformità ai principi contabili suddetti, sia correttamente accantonato il giusto importo a titolo di FCDE e conseguentemente calcolato il giusto saldo disponibile del risultato di amministrazione, con tutte le relative conseguenze.