Il termine entro il quale l’impresa è tenuta a proporre istanza di accesso agli atti di una procedura di gara pubblica, in quanto incidente sul termine di decadenza dell’art. 120 c.p.a., è di quindici giorni decorrenti dalla comunicazione dell’aggiudicazione.
Ha ricordato il Tar che a fronte di un contrasto giurisprudenziale dovuto anche alla modifica della disciplina tra primo e secondo codice dei contratti pubblici, in ordine alla decorrenza del termine di impugnazione ex art. 120 c.p.a. ha stabilito l’Adunanza Plenaria con la pronuncia n. 12 del 2020, anche tenendo conto delle statuizioni della Corte di Giustizia sull’effettività della tutela in materia di contratti pubblici, che sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati; che la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la “dilazione temporale” per la proposizione del ricorso quando i motivi conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta; che, qualora l’Amministrazione aggiudicatrice rifiuti l’accesso o impedisca con comportamenti dilatori l’immediata conoscenza degli atti di gara, il termine per l’impugnazione degli atti comincia a decorrere solo da quando l’interessato li abbia conosciuti.
Precisa ancora il Consiglio di Stato in sede Plenaria che, pur a fronte della mancata riproposizione di un termine per esercitare il diritto di accesso nelle procedure di gara previsto nel codice del 2006 all’art. 79, comma 5 quater, in 10 giorni, l’individuazione del dies a quo per l’impugnazione continua a dipendere non solo dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla ‘informazione’ e alla ‘pubblicazione’ degli atti, ma anche dalle iniziative dell’impresa che effettui l’accesso informale con una ‘richiesta scritta’, impresa in ciò tenuta alla regola della diligenza. Tale onere di diligenza, risulta anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia la quale ha affermato la compatibilità comunitaria di un sistema di contenzioso sui contratti pubblici in cui il termine per impugnare inizi a decorrere da quando l’impresa ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza della presunta violazione delle disposizioni sull’evidenza pubblica (v. Corte di Giustizia, sez. IV, 14 febbraio 2019, in C54/18; sez. V, 8 maggio 2014, in C-161/13).
Ad avviso del Tar dalla sentenza della A.P. n. 12 del 2020 si rileva che il termine entro il quale l’impresa è tenuta proporre istanza di accesso, in quanto incidente sul termine di decadenza dell’art. 120 c.p.a., in quello di quindici giorni, analogicamente estendendo il termine previsto dall’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 per la p.a. per far accedere a quello ad quem per l’operatore per avanzare l’istanza di accesso per identità di ratio. Tale limite temporale, pur a fronte dell’abrogazione dell’art. 79, comma 5 quater, d.lgs. n. 163 del 2006, risulta imprescindibile per evitare che il termine di impugnazione sia rimesso alle iniziative di ostensione (consapevoli o meno) dell’operatore economico con inaccettabili conseguenze di incertezza sulla stabilità degli atti della procedura di evidenza pubblica e di conseguenza sui tempi del contratto.
Aggiunge che non può dimenticarsi il meticoloso coordinamento legislativo disciplinato (anzitutto) con la stand still (oltre che con le modalità/tempistiche delle comunicazioni imposte alla S.A., con l’abolizione nella materia dei contratti del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con la previsione della notifica del ricorso anche alla P.a. presso la sede) tra tempi del processo e tempi di conclusione del contratto, tempo finale questo il cui rigore è stato ribadito con la novella dell’art. 32 c.c.p. da parte del decreto semplificazioni (d.l. n. 76 del 2020).
D’altro canto, ove si negasse la sussistenza di un termine finale esigibile dall’impresa per avere completa cognizione degli atti e, dunque, una cognizione tale da renderle possibile l’impugnazione non resterebbe che adottare quella ben più rigorosa giurisprudenza che, invece, di aggiungere tale termine esigibile per avanzare l’istanza di accesso a quello di impugnazione, detrae i giorni attesi dall’impresa per l’ostensione a quello di decadenza di cui all’art. 120 c.p.a. (v. Tar Venezia n. 964 del 2020; Tar Palermo n. 2404 del 2019; Tar Lazio n. 13550 del 2020), interpretazione che, pur rispettosa dell’esigenza di certezza dei termini di impugnazione, il Tar ritiene essere distonica rispetto al principio di effettività della tutela.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it/