I giudici della seconda sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5379 del 7 settembre, forniscono diversi chiarimenti sulla ratio e il carattere del procedimento di valutazione ambientale: innanzitutto, la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale costituisce un procedimento di valutazione preliminare (cd. screening) autonomo e non necessariamente propedeutico alla V.I.A. vera e propria, con la quale condivide l’oggetto – l’ “impatto ambientale”, inteso come alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente – ma su un piano di diverso approfondimento.
In secondo luogo, nella fase della verifica di assoggettabilità a V.I.A. di un progetto (c.d. screening), l’Amministrazione ha la facoltà, e non l’obbligo, di richiedere chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, come espressamente previsto dall’art. 19, comma 6, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Nell’inserire tale previsione il legislatore ha evidentemente inteso introdurre un elemento di discrezionalità valutativa anche in ordine alla scelta tra allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte, ovvero addivenire al diniego allo stato degli atti, avendo esso ad oggetto non la V.I.A., ma la mera possibilità di pretermetterla.
Infine, nella fase della verifica di assoggettabilità a V.I.A. di un progetto (c.d. screening), non è dovuto l’invio del preavviso di rigetto ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 giusta l’assoluta specialità del procedimento de quo, che resta un – eventuale – passaggio intermedio verso la V.I.A. completa, al cui interno verranno recuperate tutte le necessarie istanze partecipative, e gli apporti contributivi che la parte vorrà addurre, in quanto essa sì risolvibile in un atto di diniego.
Ad avviso dei giudici di Palazzo Spada, infatti, la V.I.A. non costituisce un subprocedimento all’interno della V.I.A., in quanto solo in caso di esito negativo è destinata a sfociare nella stessa, di cui costituisce pertanto una fase preliminare eventuale solo in senso cronologico, stante che è realizzata preventivamente, esclusivamente con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della verifica di assoggettabilità. A ciò consegue una sostanziale sommarietà della delibazione, che deve essere ispirata a più rigorose esigenze di cautela: in pratica, la soglia di negatività ed incisività dell’impatto può paradossalmente essere ritenuta travalicata con margini più ampi in sede di delibazione preliminare, proprio perché di per sé essa non è preclusiva degli esiti della successiva V.I.A., ove si collocano ontologicamente i necessari approfondimenti. La scelta di sottoposizione a V.I.A., dunque, ben può essere di cautela, purché adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice ambientale, ciò implicando solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in alcun modo condizionato.
Gli stessi giudici aggiungono, inoltre, che il procedimento di screening non si conclude mai con un diniego di V.I.A., bensì con un giudizio di necessità di sostanziale approfondimento. Il rapporto tra i due procedimenti appare pertanto configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa. La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei relativi presupposti, «con la conseguenza che l’attività economica, libera sulla base della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale» (Tar Abruzzo 18 febbraio 2013, n. 158; Tar Sardegna, sez. II, 30 marzo 2010, n. 412; Tar Friuli Venezia Giulia 9 aprile 2013, n. 233). Disquisire circa la necessità di esplicitare il grado di verificabilità del nocumento ambientale in termini possibilistici, piuttosto che probabilistici, equivale ad introdurre limitazioni alla discrezionalità amministrativa non desumibili dalla norma che lo prevede: deve trattarsi di un giudizio di prognosi, intrinseco alla sua effettuazione preventiva, in forza del quale laddove per fattori obiettivamente esternati si ipotizzi la lesività dell’intervento, appare corretto cautelarsi – rectius, più propriamente, cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio, l’ambiente – non impedendone la realizzazione, ma semplicemente imponendo l’approfondimento dei suoi esiti finali.
La Sezione chiarisce, pertanto, che i criteri cui l’Autorità competente deve attenersi nella valutazione di screening sono indicizzati al § 8, nell’allegato V al d.lgs. n. 152/2006, cui l’art. 20 fa espresso richiamo, unitamente alle osservazioni che chiunque vi abbia interesse abbia fatto pervenire dopo la pubblicazione della progettualità. Mancano indicatori obiettivi sia della negatività, sia del livello di incidenza della stessa sull’ambiente, essendo rimesso alla più ampia discrezionalità del valutatore il giudizio finale circa la potenziale lesività per il contesto di ciascuna progettualità, ex se ovvero in relazione allo stesso. L’ampia discrezionalità che connota la relativa valutazione è riferita anche alla scelta che l’autorità competente ha di richiedere, per una sola volta, integrazioni documentali o chiarimenti al proponente, dato che l’art. 19, d.lgs. n. 152 del 2006 la facoltizza espressamente, ma non la impone.
Ad avviso della Sezione la particolare natura del procedimento di screening, che non costituisce un vero e proprio diniego, ma solo la decisione di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato progetto (Tar Catanzaro, sez. I, 30 marzo 2017, n. 536; Tar Bari, sez. I, 10 luglio 2012, n. 1394), giustifica l’omesso invio del preavviso di diniego ex art. 10 bis, l. n. 241 del 1990. Consentire, infatti, di fornire apporti e chiarimenti di carattere anche tecnico al solo scopo di scongiurare più approfondite verifiche a tutela dell’ambiente, oltre ad appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe per comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne connota il giudizio, comunque non preclusivo degli esiti finali.