Negare l’iscrizione all’anagrafe di un richiedente asilo lede i diritti e potrebbe essere atto costituzionalmente illegittimo. È quanto ha deciso la prima sezione civile del Tribunale di Ancona di fronte al caso di un richiedente asilo cui è stata negata l’iscrizione all’elenco secondo la norma contenuta nel Decreto Sicurezza. Il giudice ha obbligato il Comune ad accettare l’iscrizione e ha sollevato la questione di legittimità costituzionale. A comunicarlo è l’Ambasciata dei diritti delle Marche che ha sostenuto l’azione del migrante in aula. “A quanto ci risulta è la prima volta che su tale normativa viene sollevata la questione di legittimità costituzionale“, si legge nel comunicato della onlus. Per la decisione definitiva, si legge nell’ordinanza, si attenderà l’esito dell’incidente di costituzionalità.
“Riteniamo di estrema importanza questo risultato sia perché consente da subito l’iscrizione anagrafica del richiedente, con la conseguente possibilità di accedere a tutti i diritti a essa connessi, sia perché la richiesta di pronunciamento della Corte Costituzionale può fare chiarezza definitiva – si legge ancora nel comunicato – con effetti vincolanti, sull’incostituzionalità delle disposizioni in materia di iscrizione anagrafica contenute nel primo decreto legge Salvini e sulla loro natura discriminatoria”. Nell’ordinanza a sostegno della sentenza sono molti gli esempi di diritti negati, a partire dalla mancata maturazione dei requisiti per la cittadinanza. “Ogni giorno di mancata iscrizione anagrafica è sottratto al progressivo maturare del requisito temporale”, si legge nel testo. Ma non solo. Senza residenza anagrafica, si legge ancora nell’ordinanza, al richiedente asilo è preclusa la possibilità di stipulare un contratto lavorativo, nonché quella di prendere la patente. “Il ricorrente non ha possibilità di stipulare altri contratti di prestazione di lavoro occasionale (come disciplinati dal d.l. n. 50/2017) in quanto gli stessi presuppongono la registrazione presso la piattaforma telematica dell’INPS, la cui procedura richiede indefettibilmente l’indicazione dell’indirizzo di residenza”, scrive sempre il giudice. Impossibili anche l’accesso ai servizi bancari e l’apertura di un conto corrente. Limiti quindi, che per il magistrato “si traducono in una preclusione all’accesso a tutti quei diritti, facoltà e servizi che elevano tale prova a requisito costitutivo, interponendo quindi seri ostacoli allo sviluppo della persona come singolo e nelle formazioni sociali”.
Ma non solo. Nella sentenza viene anche sollevata la questione di legittimità costituzionale, che dovrà essere poi discussa presso la Consulta. “Appare violato, in primo luogo, il principio di ragionevolezza, in quanto il legislatore con la norma censurata ha privato, al solo fine di impedire l’iscrizione anagrafica, il ‘permesso di soggiorno’, documento deputato al precipuo fine di attestare la regolarità del soggiorno di uno straniero sul territorio, della sua ontologica natura ovvero della sua capacità di provare la legittima permanenza sul territorio nazionale – si legge ancora nell’ordinanza -. Il principio di ragionevolezza può dirsi rispettato solo laddove esista una ‘causa normativa’ della suddetta differenziazione che, nel caso di specie, non può essere ravvisata nella ‘precarietà della condizione giuridica dello straniero’ in quanto tale precarietà non corrisponde ad un soggiorno di breve durata”.
La novità rispetto ai precedenti casi in cui tribunali hanno imposto ai Comuni l’iscrizione al registro, come è accaduto a Bologna e a Firenze, è la questione di legittimità costituzionale, mai sollevata prima.