“L’avanzo di amministrazione, in quanto risultato di amministrazione positivo, è unico e, quindi, è assolutamente incompatibile con un piano pluriennale di riequilibrio, che presuppone, al contrario, passività scaglionate nel tempo”.
Così ha stabilito, nella sentenza n. 105 depositata il 2 maggio, la Corte costituzionale che ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza una questione sollevata dalla Corte dei conti, sezione di controllo Regione siciliana.
Secondo i giudici della Consulta è evidente la contraddizione intrinseca dell’articolo 5, comma 11-septies, della legge n. 244 del 2016, là dove prevede la facoltà di deliberare il nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali che abbiano conseguito un miglioramento dell’avanzo di amministrazione. Si tratta, ad avviso della Corte, di una contraddizione assoluta. Gli stessi giudici hanno rilevato che l’imprecisione terminologica non è innocua perché, già in passato, l’ambiguità di alcuni allegati al bilancio predisposti dal legislatore statale aveva ispirato leggi di bilancio regionali costituzionalmente illegittime (fattispecie della Regione Liguria definita con la sentenza n. 274 del 2017, fattispecie Regione Abruzzo definita con la sentenza n. 49 del 2018).
In questi casi, a differenza del presente, era stato il Governo a impugnare le leggi regionali e l’interpretazione che le Regioni avevano dato agli allegati predisposti dal legislatore statale. In quella sede, il Governo aveva fatto valere il principio dell’unicità del risultato di amministrazione e l’incompatibilità dell’avanzo con la presenza di disavanzi spalmati nel tempo. La Corte costituzionale ha concluso che non può essere assolutamente configurata la compatibilità di un avanzo di amministrazione con un piano di riequilibrio finanziario pluriennale con un forte richiamo alla trasparenza dei conti pubblici.