L’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.
Queste le conclusioni del Tar Campania (sezione VI, sentenza 8 giugno 2018, n. 3880) in una sentenza riguardante un dirigente pubblico che, ricevuto un esposto, presentava una istanza di accesso agli atti, sulla quale non è stata consentita la copia di alcune parti: in pratica quelle riportanti l’identità dei controinteressati.
I resistenti hanno affermato che l’esclusione dell’accesso si ricollega alla circostanza che la fattispecie sarebbe regolata non dagli articoli 22 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241 ma dalla disposizione dell’articolo 54-bis d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 che, al fine di tutelare il dipendente pubblico che segnali illeciti, garantisce l’anonimato del denunciante e sottrae ad accesso la segnalazione dell’illecito.
Ad avviso del giudici del Tribunale amministrativo campano la fattispecie all’esame non è riconducibile alla normativa dell’articolo 54-bis citata; la disposizione in questione infatti si riferisce ad una fattispecie diversa che è quella del dipendente pubblico che, essendo venuto a conoscenza per ragioni di ufficio della commissione di illeciti da parte di altri dipendenti, pur essendo esposto al rischio di possibili ritorsioni, si risolva a segnalare tali illeciti “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” denunciandoli al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza … ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o …all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile. In tale caso il dipendente (cd. whistleblower) è tutelato dalla norma dell’articolo 54-bis da ritorsioni, in primo luogo garantendo il suo anonimato e (tra l’altro) sottraendo ad accesso la segnalazione dell’illecito.
Nel caso all’esame, la signora-OMISSIS-con il suo esposto – che oltretutto non è stato inviato ad alcuna delle autorità indicate nell’articolo 54-bis – non ha agito a tutela dell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione ma a tutela dei diritti nascenti dal proprio rapporto di lavoro asseritamente lesi dalla ricorrente nel contesto di una annosa situazione di contrasto che la vede opposta a quest’ultima; in sostanza l’esposto in questione si inserisce in una “ordinaria” controversia di lavoro; se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori scaturita da situazioni di conflitto con i superiori fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing (che nasce, anche storicamente, da esigenze di contrasto di fenomeni corruttivi) e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”.
Tra l’altro nella fattispecie è anche evidente che non esiste alcuna esigenza di garantire l’anonimato di un denunciante (dato che la circostanza che la signora-OMISSIS-ha denunciato con esposto le illegittimità che la ricorrente avrebbe compiuto nei suoi confronti è ben nota a tutte le parti). Sintomatico è che le circolari emanate in materia abbiano chiarito che le “le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure” (cfr. ad es. la Circ. 28 luglio 2015, n. 64 dell’I.N.A.I.L. o la Circ. 26 marzo 2018 n. 54 dell’I.N.P.S.).