In pochi giorni 13mila persone soccorse su 80 barche in avaria. Tante le donne arrivate in questi giorni, spesso con storie di abusi alle spalle. I numeri dell’Onu confermano che quella appena conclusa è stata una delle peggiori settimane di sempre: tre naufragi, 65 corpi recuperati, 700 dispersi almeno 40 dei quali bimbi. Una strage nella strage, quella dei più piccoli, che l’Unicef chiama con l’unico nome possibile: “genocidio”. E lo ius soli, che il governo ha più volte indicato come una propria battaglia? Anche di recente il ministro Boschi ha auspicato che possa a breve diventare legge ma il testo, approvato dalla Camera a metà ottobre del 2015, è da tempo sottoposto a vari stop and go in commissione Affari Costituzionali a Palazzo Madama. Intanto il 14 gennaio 2016 è stato approvato in via definitiva lo ‘ius soli sportivo’. Una proposta di legge che porta come prima firma quella della campionessa di canoa Josefa Idem e prevede la possibilità di tesseramento in società sportive, dai 10 anni in avanti, di bimbi stranieri nati o residenti in Italia da quando sono piccoli.
E’ da tredici anni anni che in Parlamento si discute di una riforma in materia di cittadinanza.
LE TAPPE DEL PROVVEDIMENTO – Tra il 2003 e il 2004 la commissione Affari Costituzionali della Camera esamina diverse proposte parlamentari ed elabora un testo unificato che, dopo l’esame in commissione, approda in Aula ma viene rimandato in commissione il 16 maggio 2004. Nella XIV legislatura la Camera ci riprova. Se ne riparla a partire dal 3 agosto 2006 con una indagine conoscitiva. Nel gennaio 2008 per il testo sembrerebbe la ‘volta buona’ dopo una discussione in commissione ma la legislatura si interrompe e l’iter deve ricominciare da capo. Anche la successiva legislatura mette all’ordine del giorno la questione ma il 12 gennaio 2010 il testo approda nuovamente in Aula e nuovamente viene rimandato in commissione per approfondimenti. Dal 14 giugno 2012 è partito un nuovo tentativo in commissione con l’esame di alcune proposte. Il 31 luglio 2012 si è concluso l’esame preliminare delle proposte di legge ma la commissione non è riuscita a elaborare un testo base e l’esame è stato interrotto l’8 novembre 2012. Dal 27 giugno del 2013 si riprende l’esame alla Camera ed è stato approvato a metà ottobre del 2015. Il provvedimento è da allora in discussione in commissione Affari Costituzionali al Senato dove è stato stabilito un ciclo di audizioni.
COSA PREVEDE – Il testo contiene lo “Ius soli soft” che consentirà ai figli degli immigrati nati in Italia di ottenere la cittadinanza nel rispetto di alcuni paletti. In base alle nuove regole, i minori stranieri nati in Italia o residenti da anni nel Paese potranno ottenere la cittadinanza italiana, purché rispettino alcune condizioni come la frequenza scolastica o la residenza nel Paese da più anni da parte di uno dei genitori. Rispetto allo ius soli classico (quello adottato negli Usa e in molti paesi del Sudamerica che attribuisce la cittadinanza del Paese a chiunque nasce sul suolo nazionale), lo “Ius soli soft” pone alcune condizioni all’ottenimento della cittadinanza. I bambini figli di stranieri che nascono in Italia acquisiscono la cittadinanza se almeno uno dei due genitori “è residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni, antecedenti alla nascita” o anche se uno dei due genitori, benché straniero, “è nato in Italia e ivi risiede legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno”. La cittadinanza italiana verrebbe assegnata automaticamente al momento dell’iscrizione alla anagrafe. I minori nati in Italia senza questi requisiti, e quelli arrivati in Italia sotto i 12 anni – in base al testo – potranno ottenere la cittadinanza se avranno “frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale”. I ragazzi arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni, infine, potranno avere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato “un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo”.