L’art. 6, paragrafo 2 della direttiva habitat prende come punto di partenza il principio di prevenzione e si configura, rispetto agli altri paragrafi della disposizione, come una fonte autonoma di obblighi per gli Stati membri. Esso, infatti, disciplina l’ipotesi specifica del “degrado degli habitat”, senza distinguere tra degrado potenziale o già in corso. Tale disposizione, secondo le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia UE, va interpretata nel senso di imporre agli Stati membri di adottare tutte le “opportune misure” per garantire che non si verifichino, o che si interrompano, un “degrado” o una “perturbazione” significativi, onde evitare qualsiasi peggioramento, causato dall’uomo o di origine naturale prevedibile, degli habitat naturali e degli habitat di specie. Le “opportune misure” di cui al paragrafo 2 vanno al di là delle misure di gestione necessarie ai fini della conservazione, già disciplinate dal paragrafo 1 dello stesso articolo 6. La presenza, nella norma, di espressioni come «evitare il degrado degli habitat» e «tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative» sottolinea non solo la natura preventiva e anticipatoria delle misure da adottare ma anche, in caso di degrado già in atto, la necessità di misure “attive”, “anticicliche”, in grado di invertire il processo che, in assenza di iniziative, proseguirebbe irreversibilmente. In altri termini, secondo il vincolo della direttiva: da un lato non è accettabile aspettare che si verifichi un degrado o una perturbazione per adottare tali misure; d’altro lato, se il degrado è già in atto, non basta più solo prevenirlo, ma occorre contrastarlo, per ripristinare lo stato riscontrato al momento della individuazione del sito. L’eliminazione dell’impatto negativo può richiedere, a seconda dei casi, la sospensione dell’attività e/o l’adozione di misure di attenuazione o ripristino, anche effettuando una valutazione ex post. Le misure, in ogni caso, devono essere “effettive”, “efficaci” e “adeguate”, e pertanto non solo conservative, ma di intervento positivo, con effetti misurabili e, se necessario, “anticiclico” (1).
Nel caso di accertato stato di degrado di un sito di interesse comunitario/zona speciale di conservazione, a seguito di un’istanza-diffida per l’adozione di misure per evitare tale degrado da parte degli enti esponenziali di interessi legittimi collettivi relativi alla tutela dell’ambiente, le amministrazioni competenti hanno l’obbligo di provvedere, anche ai sensi dell’art. 6, paragrafo 2 della direttiva habitat, all’adozione di autonome e ulteriori “opportune misure”. Pertanto, non possono limitarsi a documentare l’adozione di provvedimenti contenenti misure di conservazione, ma debbono dimostrare di aver adottato atti contenenti misure “proattive” e “opportune”, ovvero “non formali” e, dunque, “effettive” “efficaci” e “adeguate”, con effetti misurabili, tali da invertire efficacemente il trend attuale, e quindi specificamente indirizzate a prevenire e contrastare il progressivo deterioramento del sito, ovvero ad assicurare il ripristino delle caratteristiche ecologiche esistenti al momento della sua designazione quale sito di importanza comunitaria. Nel caso di mancata risposta nei sopra indicati termini è ammessa ed è fondata l’azione avverso il silenzio inadempimento ex art. 117 c.p.a. Il contenuto delle misure di prevenzione e di contrasto al degrado degli habitat protetti è di natura tecnico-discrezionale, ma la previsione contenuta nell’art. 6, paragrafo 2 della direttiva habitat, circa la necessità che le misure siano “opportune”, ovvero efficaci e adeguate, riduce il margine discrezionale degli Stati membri e limita le eventuali facoltà regolamentari o decisionali delle autorità nazionali alla individuazione dei mezzi da impiegare e alle scelte tecniche da operare nell’ambito delle dette “opportune misure”. L’adeguatezza delle misure e, quindi, l’efficacia dell’adempimento, dovrà essere misurata in concreto, ex post, in termini di effettiva riduzione dei fenomeni indicatori del degrado (2).
(1) Precedenti conformi: sul tema, Corte di giustizia UE, sez. II, 13 dicembre 2007, causa C-418/04; Corte di giustizia CE, 13 gennaio 2005, causa C-117/00; Corte di giustizia UE, 4 marzo 2010, causa C-241/08; Corte di giustizia CE, 20 ottobre 2005, causa C-6/04; Corte di giustizia UE, 11 dicembre 2008, causa C-293/07; Corte di giustizia UE, 27 ottobre 2005, causa C-166/04; Corte di giustizia UE, 13 dicembre 2007, causa C-418/04; Corte di giustizia UE, 10 novembre 2016, causa C-504/14; Corte di giustizia UE, 24 novembre 2011, causa C-404/09; Corte di giustizia UE, 14 gennaio 2016, causa C-399/14; Corte di giustizia UE, 14 settembre 2006, causa C-244/05.
Precedenti difformi: non si rinvengono precedenti difformi.
(2) Precedenti conformi: relativamente alle misure di conservazione: Corte di giustizia UE, 29 giugno 2023, causa C-444/21; Corte di giustizia UE, 24 novembre 2011, causa C-404/09.
Precedenti difformi: non si rinvengono precedenti difformi.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it