Dal primo gennaio al 30 giugno 2017 (con un incremento del 18,71% rispetto ai dati del 2016) – in Italia – sono sbarcati 83 360 profughi (di cui 9761 minori non accompagnati) di nazionalità nigeriana (12 0 45), del Bangladesh ((7 504), e di Guinea (7 057), Costa d’Avorio ( 6 655) e Gambia (4675). Il 13% dei migranti presenti in Italia sono ospitati in Lombardia, il 9% in Lazio e Campania, l’8% in Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, il 7% in Puglia, Toscana e Sicilia, lo 0,2% in Valle d’Aosta. La posizione italiana è nota:
· raddoppiare entro fine anno i centri post-sbarco (gli hotspot) che servono per l’identificazione dei migranti;
· accellerare i rimpatri (all’Ue l’Italia chiede una da tempo una gestione comune dei rimpatri)
· che altri porti europei si assumano l’onere di accogliere le navi che soccorrono i migranti
· più risorse. Ad esempio, al Fondo fiduciario d’emergenza dell’UE gli stati membri hanno versato solo 89 milioni di euro (da Italia e Germania) contro i 2,6 miliardi che la Commissione gli ha destinato
L’Italia non può più essere il solo Paese di approdo per le navi di ogni nazionalità che salvano i migranti nel Mediterraneo. Ma qual è il problema? Mancanze di regole per le ong o la mancanza di una vera politica europea sui flussi migratori? Si sta rimettendo in discussione il soccorso in mare? O piuttosto accordi internazionali in vigore? Basta insistere sul rilancio della relocation e della sua gestione? O occorre – innanzitutto – affrontare i problemi alla loro radice (una diversa politica di cooperazione, lotta ai conflitti ecc.) ?
Di certo ci sono anche questi obiettivi: ridurre gli sbarchi, accelerare la procedure di richiesta di asilo, rendere più severe le leggi sui respingimenti, ecc. Ma non sarà facile realizzarli visto che – tra l’altro – c’è anche da cambiare accordi internazionali. Ad esempio, i migranti non sono portati in Francia e Spagna perché – sin dall’inizio – questi due paesi per partecipare alle operazioni di soccorso con le loro navi hanno avuto garanzie che i migranti sarebbero sbarcati solo in Italia. Inoltre Polonia Ungheria Repubblica Ceca e Slovacchia (il cosiddetto gruppo di Visegrad) sono – da sempre – contrari all’idea di far dipendere la distribuzione dei fondi europei dall’adesione alla politica comune verso i migranti; e si oppongono alla revisione del Trattato di Dublino (che oggi impone il dovere dell’accoglienza sollo al primo paese di arrivo).
La Commissione europea presenterà un proprio Piano di azione in 10 punti che non conterrà nuove misure ma una road map. Si prevedono un Codice di condotta per le ong, un maggior sostegno alla guardia costiera libica, un aumento degli sforzi di rimpatri, e un’accelerazione dei ricollocamenti.
Intanto, a Parigi – in preparazione del prossimo Vertice dei Ministri degli interni dell’Ue del 6-7 luglio, a Tallin, in Estonia – su richiesta italiana c’è stato un vertice tra i Ministri dell’Interno di Italia (Marco Minniti) Francia (Gerard Collomb) e Germania (Thomas Maizière) e il Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza (Dimitri Avramopoulos) per trovare una risposta comune ai flussi migratori e capire come meglio aiutare gli italiani che, la settimana scorsa, hanno minacciato la chiusura dei propri porti.
A Parigi, i quattro hanno lavorato a un “approccio coordinato”. Ma hanno trovato una intesa a metà, visto che non tutte le richieste italiane sono state accettate. La Francia – che considera prioritario lavorare per ridurre il flusso di migranti verso l’Italia – ha ribadito la sua indisponibilità ad aprire i propri porti alle navi di soccorso; posizione che si porta dietro anche quella della Spagna. Resta quindi ferma la partita dell’apertura di porti sicuri – non solo italiani – alle navi ong cariche di profughi.
Inoltre, Parigi e Berlino dicono no al Centro unico di comando europeo per ricerche e salvataggi in mare (richiesto dall’Italia); e non c’è un vero accordo “europeo” su un nuovo Piano di ricollocamento dei migranti sbarcati in Italia e in Grecia – anche se l’Italia ribadisce che “nessuno deve tirarsi dietro” (dall’Italia, finora, sono state smistate solo 7 000 persone).
L’Accordo di Parigi riguarda (tra l’altro) questi punti:
· un Codice di condotta, comune, con obblighi e divieti per le Ong (maggiori obblighi di trasparenza, limiti di distanza dalle coste africane per navi Ong impegnate in operazioni di salvataggio ecc. – che potrebbe portare, in assenza di rispetto, a blocchi di accesso in porto, o anche a inviti ad approdare anche nei paesi di cui battono bandiera). Questa proposta non ha mancato di suscitare reazioni. “Limitare fortemente l’azione delle Ong ed esternalizzare le frontiere – I ha sottolineato la Caritas italiana – è inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani, continua la delegittimazione delle ong”.
· sostegno alla Guarda costiera libica aumentando i finanziamenti Ue. “La Guardia costiera libica – ricorda intanto Regina Catrambone della Moas – è indagata dalla Corte internazionale dei diritti umani perché spara sui barconi e in qualche caso anche contro le ong”
· per frenare i flussi migratori, più controlli al confine meridionale libico – vera porta di accesso dei flussi (la Libia è il vero confine meridionale dell’Europa, da cui nel 2017 sono arrivati il 97% dei migranti) – e più risorse per il lavoro della Guardia costiera, e la dotazione di apparecchiature per garantire il controllo delle coste libiche e delle frontiere del sud.
· supporto all’OIM e all’UNHCR affinché i Centri di accoglienza nel Paese africano rispondano agli standard internazionali sui diritti umani
· rilancio di una strategia europea sui rimpatri (con la collaborazione di Frontex) e un riesame della politica dei visti (ad esempio se un paese terzo non collaborerà nel riammettere sul proprio territorio migranti espulsi dall’Europa, ci potrebbe essere una restrizione nella concessione di visti ai suoi cittadini)
· un ruolo di coordinamento più forte in capo alla Guardia costiera italiana e riscrivere il mandato di Frontex per permettere di sbarcare i migranti in altri paesi europei diversi dal nostro
Attualmente, i francesi stanno scrivendo un documento di proposte condivise da portare il 6 luglio a Tallin. Il vertice italo-francese-tedesco sarà ora seguito dal dibattito in plenaria al Parlamento europeo (4 luglio), il vertice di Tallin (6 luglio) e il G20 ad Amburgo (7-8 luglio 2017).