Gli articoli 1 e 3 della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile
2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva
abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, letti alla luce dei suoi considerando 8, 14 e 25
e dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, nonché l’articolo 16 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non
ostano a una normativa nazionale che, nel contesto della sostituzione di un regime nazionale di
sostegno all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili basato su quote di tale energia elettrica da
immettere nella rete nazionale e sulla concessione di certificati verdi alle imprese che producono detta
energia elettrica con un regime nazionale di sostegno alla stessa energia elettrica basato sulla
concessione di tariffe di riacquisto incentivanti a tali imprese, subordina il beneficio di quest’ultimo
regime alla stipula di una convenzione vertente sulle condizioni di concessione di tale sostegno tra
una siffatta impresa e un ente controllato dallo Stato incaricato della gestione e del controllo di
quest’ultimo regime, anche per le imprese che, tenuto conto della data di entrata in esercizio dei loro
impianti, beneficiavano del regime nazionale di sostegno fondato su quote e sulla concessione di
certificati verdi. (1)
(1) I. – Talune società di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile (diversa dal
fotovoltaico), che accedevano al previgente sostegno costituito dal “regime dei certificati
verdi” (che consentiva la possibilità di valorizzarli, cedendoli ad altri operatori), a seguito
dell’introduzione del nuovo sistema del “regime delle tariffe di riacquisto incentivanti” (d.lgs.
3 marzo 2011, n. 28 e d. m. 6 luglio 2012), hanno proposto ricorso, volto a contestare la
conformità al diritto UE dello stesso e la legittimità della convenzione GRIN, che esse erano
tenute a stipulare con il GSE (gestore dei servizi energetici), al fine di poter effettuare la
transizione tra questi regimi; il T.a.r. per il Lazio adito ha accolto il ricorso, evidenziando,
tra l’altro, che l’obbligo di stipulare un «contratto», al fine di beneficiare del regime delle
tariffe di riacquisto incentivanti, previsto all’art. 24, comma 2, lett. d), del d.lgs. n. 28 del
2011, si applicasse unicamente agli operatori di impianti alimentati da fonti rinnovabili,
entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2012, e non agli operatori di impianti – come quelli
delle ricorrenti – entrati in esercizio prima di tale data e i cui operatori beneficiavano del
regime dei certificati verdi; il GSE ha interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, il
quale, con ordinanza della sezione II del 27 febbraio 2023, n. 2009 (oggetto di News UM del
n. 39 del 21 marzo 2023), dopo aver esordito nel rammentare che la giurisprudenza interna
consolidata ammetteva l’applicabilità del nuovo regime di sostegno anche agli operatori in
esercizio prima del 31 dicembre 2021, ha inteso sollevare alcuni quesiti interpretativi alla
Corte di giustizia UE; la Corte europea, con la sentenza in epigrafe, ha risposto a tutti i dubbi
interpretativi, esprimendosi per la conformità alle direttive UE della disciplina interna,
tracciata dal d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 e dal d.m. 6 luglio 2012, la quale subordina
l’assegnazione degli incentivi alla sottoscrizione di contratti di diritto privato fra il GSE e il
soggetto responsabile dell’impianto, anche nel caso di impianti di produzione di energia
elettrica, da fonti rinnovabili, entrati in esercizio prima del 31 dicembre 2012, data a partire
dalla quale è entrato in vigore il nuovo sistema “regime delle tariffe di riacquisto incentivanti”.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it