La Corte costituzionale, con la sentenza numero 47, ha dichiarato non
fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di
Firenze, sul divieto di accesso ad aree delle infrastrutture dei servizi di
trasporto e ad altre aree urbane specificamente individuate dai regolamenti
comunali che, in base al cosiddetto decreto Minniti del 2017, il questore può
disporre nei confronti di chi, nelle stesse aree, abbia reiteratamente
commesso le violazioni di cui all’art. 9, commi 1 e 2 (impedimento della loro
accessibilità e fruibilità in violazione di divieti di stazionamento o di
occupazione di spazi e altri illeciti specificamente indicati).
La Corte ha ritenuto che la norma censurata (l’art.10, comma 2, del decretolegge n. 14 del 2017, convertito, con modificazioni, nella legge n. 48 del
2017) debba essere interpretata in senso diverso da quello ipotizzato dal
giudice a quo e tale da escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3, 16 e
117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 2 del Protocollo
n. 4 alla CEDU).
Si deve in particolare escludere, secondo la Corte, che la norma in questione,
nel subordinare la misura alla sussistenza di un possibile pericolo per la
sicurezza, faccia riferimento alla «sicurezza urbana» quale definita dall’art. 4
del decreto Minniti: concetto più ampio di quello contemplato dall’art. 16
Cost. quale ragione di possibili limitazioni alla libertà di circolazione, in
quanto comprensivo anche del mero «decoro urbano». Il termine «sicurezza»
deve essere inteso invece nel senso – coerente con la natura di misura di
prevenzione atipica dell’istituto e in linea, altresì, con il dettato costituzionale
– di garanzia della libertà dei cittadini di svolgere le loro lecite attività al riparo
da condotte criminose.
Affinché il divieto di accesso sia legittimamente disposto occorre, quindi, che
vi sia un concreto pericolo di commissione di reati: pericolo che, in base alla
lettera della norma, deve essere rivelato «dalla condotta tenuta» dal
destinatario. Ciò esclude anche l’asserita violazione dei principi di
ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.), nonché quella della garanzia
convenzionale della libertà di circolazione (art. 2 del Protocollo n. 4 alla
CEDU), sotto il profilo della carenza di precisione della norma
nell’individuazione dei presupposti della misura: carenza non riscontrabile
neanche in rapporto alla descrizione delle condotte alla cui reiterazione
quest’ultima è annessa.
La Corte ha dichiarato, altresì, non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto Minniti, sollevata dal
Tribunale di Firenze in riferimento all’art. 3 Cost. con riguardo
all’individuazione delle condotte illecite, sul rilievo che sarebbe irragionevole
colpire con il DASPO urbano chi, violando divieti di stazionamento e
occupazioni di spazi, impedisca l’accessibilità e la fruizione delle infrastrutture
dei trasporti – condotta normalmente priva di rilievo penale – e non invece
chi, nelle stesse aree, tenga condotte penalmente rilevanti e ben più pericolose
per la sicurezza (minacce, percosse, lesioni, porto di armi bianche, ecc.).
Secondo la Corte, si è di fronte a una scelta espressiva dell’ampia
discrezionalità spettante al legislatore in materia e non manifestamente
irragionevole. La selezione delle condotte cui può conseguire la misura riflette
l’intento legislativo di individuare quelle tipologie di comportamenti che,
sulla base dell’esperienza, contribuiscono maggiormente a creare un clima di
insicurezza nelle aree considerate e che implicano una prolungata e indebita
occupazione di spazi nevralgici per la mobilità o comunque interessati da
rilevanti flussi di persone. Il legislatore non ha mancato, peraltro, di prendere
in considerazione condotte di diverso ordine e di rilievo penale (comprese
quelle richiamate dal giudice a quo) ai fini dell’applicazione di altre figure di
DASPO urbano, quali quelle previste dagli artt. 13 e 13-bis del decreto
Minniti.
La Corte ha dichiarato invece inammissibili, per difetto di rilevanza nel
giudizio a quo, le questioni aventi ad oggetto l’ordine di allontanamento per
48 ore dal luogo di commissione del fatto, che ai sensi degli artt. 9, comma
1, e 10, comma 1, del decreto Minniti deve essere impartito al trasgressore
dall’organo accertatore delle violazioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 9.