Al netto dei ritardi conseguenti all’emergenza pandemica, il “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale”, che ha mobilitato risorse economiche, nazionali e comunitarie, pari a 14,3 miliardi di euro in 12 anni, dal 2018 al 2030, destinate alle Regioni e agli enti locali, ha avuto il pregio di unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa. E’ quanto emerge dalla relazione su “Gli interventi delle Amministrazioni dello Stato per la mitigazione del rischio idrogeologico”, approvata con delibera n. 17/2021/G dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, dove viene, fra l’altro, sottolineato come l’Italia, con circa i 2/3 delle frane censite in Europa, sia il Paese maggiormente interessato da fenomeni franosi.
Nonostante i numerosi interventi normativi, organizzativi e procedurali, il contrasto e la prevenzione del dissesto idrogeologico rappresentano in misura crescente un’emergenza nazionale e una vera priorità per il Paese. Non è un caso che il PNRR gli dedichi specifica attenzione nell’ambito della Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, destinando a tale emergenza dal 2020 al 2026, un totale di 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del Ministero della transizione ecologica per progetti già in essere, con risorse esistenti nel bilancio e 1,200 miliardi della Protezione civile, di cui 800 milioni costituiscono risorse aggiuntive. L’indagine della Corte ha esaminato lo stato di attuazione del Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico, il Dpcm 20 febbraio 2019 c.d. “ProteggItalia”, che nasce con l’intento non solo di operare una ricognizione delle risorse nazionali ed europee, ma di superare l’approccio emergenziale al tema del dissesto attraverso l’individuazione di misure di emergenza, di prevenzione, di manutenzione e misure organizzative, gestite per competenza da più Amministrazioni statali.
Sul punto si ribadisce la necessità di superare le gestioni straordinarie e semplificare i processi verso un rientro ad un regime ordinato di competenze, con una programmazione in via ordinaria della gestione del territorio che, oltre a garantire la progettazione e realizzazione degli interventi, sia guidata da una adeguata pianificazione in coerenza con le Direttive 2007/60/CE c.d. “Direttiva alluvioni”, e la Direttiva 2000/60/CE (c.d. Direttiva Acque). Fra le criticità, la magistratura contabile ha rilevato l’eccessiva proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi relativi agli interventi e la debolezza degli strumenti e delle modalità di pianificazione territoriale, in grado di attuare una politica efficace di prevenzione e manutenzione.
Nonostante le semplificazioni introdotte, restano, infatti rallentati sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali. Ulteriori problematiche irrisolte restano la capacità progettuale delle Regioni, la carenza di profili tecnici e la scarsa pianificazione del territorio. Sul fronte della Governance, la Corte evidenzia la molteplicità delle strutture (fra cabine di regia, strutture di missione, segreterie tecniche, task force centrali e regionali, etc.) dei processi decisionali e delle relative responsabilità, situazione che non ha favorito il necessario “cambio di passo” verso una gestione “ordinaria” ed efficace del contrasto al dissesto. Per questo si auspica che l’introduzione del nuovo assetto organizzativo di governo del PNRR possa contribuire a superare tali criticità, semplificando le strutture e le procedure di attuazione.
Fonte: Corte dei conti