Oltre l’80% dei rifiuti raccolti sulle spiagge italiane è rappresentato da plastiche che minacciano l’ecosistema e la salute dell’uomo. Gli studi dell’Enea non lasciano margini di ottimismo sull’argomento. Sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia vi sono anche le fonti d’inquinamento da microplastiche che per le dimensioni inferiori a 5mm, non vengono trattenute dagli impianti di depurazione delle acque reflue. I frammenti, prodotti dalla degradazione delle plastiche, rappresentano il 46% degli “oggetti” rinvenuti lungo le spiagge italiane, dove è stata stimata la presenza di almeno 100 milioni di cotton fioc. In alcune località sono stati rinvenuti fino a 18 oggetti di plastica per metro quadro. Sono questi alcuni dei risultati delle attività di ricerca che l’Enea ha presentato il 1° dicembre a Roma nell’ambito del worskhop “Marine litter: da emergenza ambientale a potenziale risorsa”, organizzato dall’Agenzia in collaborazione con Accademia dei Lincei e Forum Plinianum, per fare il punto sulle attività scientifiche per la caratterizzazione e riutilizzo delle plastiche, l’adeguamento della normativa, i programmi di gestione sostenibile e le iniziative intraprese a livello locale.
Al convegno hanno partecipato ricercatori ed esperti, rappresentanti del mondo accademico, istituzionale, imprenditoriale, giornalistico e associazionistico, sarà l’occasione per parlare degli impatti dell’inquinamento da plastiche sull’ambiente marino e sulla salute dell’uomo. Ma anche per presentare le varie opportunità offerte dalla ricerca scientifica con l’obiettivo di trasformare i rifiuti in risorse, promuovendo una maggiore conoscenza e consapevolezza da parte dei cittadini e dei consumatori.
Dalle fonti di inquinamento ai nuovi rischi tossicologici, l’Enea ha presentato inoltre i risultati del monitoraggio delle plastiche nei laghi e nei mari, le nuove prospettive per il riutilizzo del beach litter, i materiali innovativi, ma anche per dare voce alle campagne di sensibilizzazione, proposte di legge e progetti europei sul tema. Secondo alcuni studi, sono 700.000 le microfibre di plastica scaricate in mare da un solo lavaggio di lavatrice e 24 le tonnellate di microplastica provenienti dai prodotti cosmetici di uso quotidiano che ogni giorno riversiamo nei mari europei e che entrano nella catena alimentare.
Prodotti di degradazione delle plastiche sono stati rinvenuti infatti anche nel fegato di spigole e microplastiche persino nel sale da cucina: uno studio condotto sul pescespada, ha evidenziato che nei contenuti stomacali di alcuni esemplari sono stati ritrovati rifiuti marini che riflettono le tipologie di plastiche maggiormente presenti in ambiente marino.
Le attività di ricerca condotte dall’Enea per caratterizzare le plastiche raccolte lungo le spiagge e in mare hanno rivelato che la maggior parte di esse è costituita da polimeri termoplastici come polietilene e polipropilene, materiali riciclabili in nuovi oggetti commercializzabili, da rifiuto a risorsa economica. Con questo obiettivo la caratterizzazione qualitativa e quantitativa dei materiali polimerici può rappresentare il punto di partenza per una gestione sostenibile dei materiali plastici: dal recupero, al trattamento fino al riciclo. Un circuito virtuoso di riciclaggio, un mix di strategie all’insegna del “riutilizzo-riuso-riciclo”, in grado di valorizzare le potenzialità dei materiali a fine vita, oggi in massima parte sottovalutate.
Per il ricercatore dell’Enea, Loris Pietrelli, del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali, “la presenza delle plastiche in mare è in larga parte dovuta a una scorretta gestione dei rifiuti solidi urbani, alla mancata o insufficiente depurazione dei reflui urbani, a comportamenti individuali quotidiani inconsapevoli. Così facendo il rischio di trasformare i nostri mari in discariche è molto elevato. Secondo alcune ipotesi, entro il 2050 nel mare avremo più plastica che pesci”.