La vicenda delle vaccinazioni obbligatorie incrocia una pagina poco esaltante della nostra esperienza repubblicana. Non siamo di fronte a un conflitto normale, potremmo dire fisiologico, tra Stato e Regioni. Si è scelto un terreno scabroso, ricco d’insidie, dunque pericoloso.
La tutela della salute, cardine non trascurabile dell’ordinamento costituzionale e quindi dello Stato sociale, non può essere erosa o minata per effetto di contrasti sull’applicazione di una legge del Parlamento. È comprensibile che la volontà di rendere obbligatori un numero consistenti di vaccini abbia registrato pareri discordi, con forme di opposizione trasversali. Ciò non toglie che una norma vada rispettata in attesa che si pronunci la Corte Costituzionale, visto il ricorso pendente della Regione Veneto.
Le famiglie hanno bisogno di essere rassicurate. Dai Comuni, in questo frangente, è venuto un contributo positivo all’insegna del principio – mai disconosciuto, neppure dai fan del federalismo – di leale collaborazione tra diversi livelli di responsabilità politico-istituzionale. Lo ha riconosciuto, nell’intervista concessa proprio stamane al “Il Messaggero”, Il Ministro della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli.
Le sue parole sono state chiare, suonando come un apprezzamento per l’impegno dell’Anci. Sebbene le Asl siano state sottratte al controllo dei Comuni, gli amministratori comunali non vengono meno ai loro doveri di pubblici ufficiali. Del resto la salute pubblica chiama in causa, secondo le norme vigenti, il ruolo del sindaco come autorità sanitaria locale.
In un recente convegno di Federsanità Anci, Arturo Iannaccone, oggi assessore di Avellino e fino a ieri parlamentare della Repubblica, ha criticato l’esproprio di competenze degli enti locali in materia di sanità, determinato appunto dal passaggio alle Regioni delle vecchie Usl, una volta definite “enti strumentali” dei Comuni (L. 833/78).
È un argomento serio, meritevole di attenzione e approfondimento. Nel frattempo, a mo’ di consiglio, sarebbe preferibile che le difficoltà e le tensioni provocate dalla normativa sulle vaccinazioni non ricadano sugli apparati amministrativi e burocratici delle aziende sanitarie. È un esercizio abituale, quello di ricorrere alla pratica dello scaricabarile, ma non fa onore a chi ne sfrutta le momentanee convenienze. Anche lo scaricabarile ricade sotto il segno della demagogia.