Il futuro dell’economia globale si gioca sull’Intelligenza artificiale. Questa, almeno, è l’opinione dei guru delle scienze sociali e dei futurologici di varia estrazione che preconizzano un mondo popolato da robot e da “macchine pensanti”, gestiti da sistemi complessi di algoritmi. Un mondo segnato dalla scomparsa, o perlomeno dal forte ridimensionamento, del lavoro vivo, come anticipava lucidamente Jeremy Rifkin già nella metà degli anni ’90 del secolo scorso (La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Mondadori) e dal trionfo di quello che Marx chiamava il “lavoro morto”. Di conseguenza, i più forti sullo scacchiere internazionale saranno i Paesi dotati di corporation specializzate nell’AI. I segnali in tal senso s’intravedono già. Ecco perché Cb Insights ha condotto una ricerca sull’evoluzione del settore, dalla quale emerge che il mercato di riferimento – inteso come prodotti, sistemi hardware, infrastrutture dati, servizi e soluzioni che sfruttano gli algoritmi di machine learning per il riconoscimento, l’identificazione e la classificazione di oggetti e immagini – ha superato complessivamente nel 2018 quota 7,3 miliardi di dollari. In altre parole, un gigantesco sistema di scambi in continua espansione che vede in questa fase la consolidata egemonia Usa. Non a caso – come spiega in un dettagliato articolo su Il Sole 24Ore Gianni Rusconi – “negli Stati Uniti risiede infatti circa l’80% delle 100 aziende che Cb Insights ha selezionato come le più promettenti per il 2019 (da un campione iniziale di oltre 3mila) mentre si dividono equamente il podio con sei aziende ciascuna: Cina – particolarmente rampante – Israele e Regno Unito (Graphcore, Onfido, Medopad, Behavox, Eigen Technologies e Prowler.io). Trovano posto nella lista, con una menzione ciascuna, anche Germania (TwentyBN), Svezia (Mapillary), Canada, Giappone e India”. Purtroppo, in classifica non figura alcuna start up italiana. E, considerando i parametri impiegati per stilare la graduatoria (attività brevettuale, profilo degli investitori, potenziale di mercato, partnership, panorama competitivo, forza del team), questa assenza non sorprende. E’ la misura di quanto debba recuperare il nostro Paese sul terreno dell’innovazione tecnologica per stare al passo con i big mondiali e anche con certi Paesi emergenti.
Secondo Cb Insights, inoltre, occorre valutare capitalizzazione e capacità di attrarre investimenti in quanto indicatori fondamentali per valutare la forza delle start up dell’AI. A fornire dati convincenti in tal senso è sempre l’articolo di Gianni Rusconi. Se si analizzano le aziende della top 100, si scopre che 11 di esse, fra cui l’inglese Graphcore) sono unicorni, mentre fra le imprese che vantano una capitalizzazione di mercato superiore a un miliardo di dollari il nome che spicca sugli altri è quello della cinese (di Hong Kong) SenseTime. Specialista nel campo della sicurezza e del deep learning, è stata capace finora di rastrellare sul mercato oltre 1,6 miliardi di dollari, annoverando fra i suoi finanziatori aziende del calibro di Alibaba e Qualcom. Alle sue spalle un altro unicorno cinese Face+++, che ha convinto a investire realtà come Lenovo Ventures e Foxconn raccogliendo fino a oggi oltre 600 milioni. È californiana, invece, Zymergen, la terza azienda di intelligenza artificiale più finanziata al mondo con 574 milioni di dollari (fra i suoi azionisti si contano Goldman Sachs e Softbank): dalla sua vanta una tecnologia che utilizza algoritmi di apprendimento automatico per trovare alternative alla plastica e al petrolio in campo industriale.
In conclusione, le top 100 dell’AI hanno raccolto oltre 6,2 miliardi di dollari di capitale da oltre 680 fra venture capital, corporate venture capital e business angel. C’è, infine, forse il dato più significativo, in grado di dare l’idea della consistenza e del ritmo di crescita del tasso d’innovazione che caratterizza la corsa del settore verso il futuro: le più importanti 100 startup dell’intelligenza artificiale su scala globale hanno depositato complessivamente 600 brevetti soltanto negli Stati Uniti.