La Fed ha mosso il primo passo verso una normalità ormai dimenticata. Dopo aver tenuto i tassi a zero per 7 anni, ieri sera li ha rialzati. Finalmente un segnale di normalità finanziaria ed economica! Questo atto segna una data simbolica: la fine della crisi economica e finanziaria negli Stati Uniti. Visto che la più grave crisi economica del capitalismo, dopo quella del ’29, era nata proprio negli Usa, è ragionevole pensare che la fine della crisi in America decreti la fine della crisi anche nel resto delle economie industrializzate. Il rallentamento della produzione e del commercio a livello mondiale dovrebbe terminare.
Il 16 dicembre 2015 è un evento simbolico che ha molteplici aspetti: finanziari, economici, politici, culturali, sociali ed esistenziali. Un dato storico permane: l’ennesimo ritardo dell’Europa.
Gli Usa hanno un ruolo attivo nel processo di globalizzazione, l’Europa no e lo riscontriamo anche in questo contesto. Mentre le istituzioni americane si sono tutte impegnate sulla necessità della ripresa della domanda, la Fed attraverso un’enorme creazione di liquidità, il governo con una politica economica espansiva mediante la creazione di milioni di posti di lavoro, in Europa, invece, abbiamo, da una parte, la Bce che, mediante il Qe, sta creando una situazione espansiva ma, dall’altra, abbiamo una politica economica, imposta dalla Germania, restrittiva. Questa contrapposizione potrebbe addirittura affievolire i benefici portati dalla Bce ed aprire la strada ad una ripresa lenta e faticosa.
La situazione italiana è paradigmatica. Ieri il Centro studi di Confindustria ha rivisto al ribasso le previsioni per il Pil, stimando che il 2015 chiuda con un +0,8% (due punti in meno rispetto al +1% indicato a settembre e in linea con le ultime attese del Governo) e che la crescita nel 2016 si fermi all’1,4% (rispetto al precedente 1,5%), all’1,3% nel 2017. Un recupero rispetto alla lunga recessione da cui finalmente l’Italia è fuori, ma “meno veloce di quanto atteso”. Non c’è ancora “lo scatto netto, bruciante”, dice il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. La causa, per la Confidustria, è dell’evasione fiscale. Invece è da attribuirsi al cambiamento del modello sociale in atto nel nostro Paese.
La precarizzazione della vita economica delle famiglie italiane è al massimo livello dal dopoguerra e questo non spinge certo a un aumento della domanda. Basti ricordare la disoccupazione giovanile, la riforma delle pensioni, la fine della sicurezza del risparmio, il calo dei prezzi delle case, la crisi del lavoro, la disorganizzazione dello Stato ormai percepita in tutti gli strati della popolazione che hanno stravolto le aspettative degli italiani creando un contesto negativo e ostile alla ripresa dei consumi.
Il cambiamento della politica economica europea è urgente, più tardi lo capiremo e più tempo sarà necessario per uscire dalla crisi.