Nato nel 2002, il progetto Songdo Smart City prefigurava la nascita di una città ipertecnologica sulla costa nord orientale della Corea del Sud, a ridosso del confine con il regime di Pyongyang. Ai futuri abitanti del centro urbano era stato promesso tanto verde, piste ciclabili con scambi intermodali diffusi per salire su altri mezzi di trasporto pubblici rigorosamente green che in poco tempo li avrebbero portati ovunque, anche a Seoul. Mobilità a impatto ambientale zero, spazi commerciali e per il tempo libero, uffici e biblioteche, sistemi avanzati per la gestione intelligente del traffico, il trattamento dei rifiuti e l’efficienza energetica, fino alle abitazioni dotate dei più innovativi sistemi per il controllo degli apparecchi elettrici ed elettronici (anche la porta di casa si apriva col cellulare). La città avrebbe dovuto ospitare più di 300mila nuovi residenti, che avrebbero goduto di una vita di qualità superiore. Le cose, però, sono andate diversamente. A gettare luce sull’intera vicenda è stato recentemente il quotidiano britannico Daily Mail. A 15 anni dal lancio, il progetto non è stato realizzato neanche per metà e chi ha scelto di viverci denuncia che “è come abitare in una grande prigione deserta”. Altri l’hanno definita come una “città fantasma”, più simile a quel che resta oggi di Chernobyl in Ucraina che alla smart city immaginata dagli investitori”.
Lo sviluppo di Songdo Smart City è stato sottoscritto da una joint venture internazionale guidata dalla Gale International e dalla POSCO. Il progetto è stato studiato dall’ufficio newyorkese di Kohn Pedersen Fox (KPF), mentre le infrastrutture di sviluppo e la mano d’opera sono state fornite dalla Città metropolitana di Incheon. Allora, con tanti e tali prestigiosi soggetti internazionali, c’è da chiedersi cosa sia intervenuto a infrangere il sogno. La causa scatenante, rispondono gli analisti, è stata proprio la fuga degli investitori. Il progetto, di conseguenza, si è fermato per mancanza di fondi. Così, le date di chiusura dei lavori e d’inaugurazione della smart city si sono nel tempo spostate in avanti senza che la città iniziasse a vivere davvero. La prima data di consegna era prevista per il 2015, poi posticipata al 2018 e ora al 2022. Il piano urbanistico prevedeva la realizzazione di 80 mila appartamenti, con 5 milioni di metri quadrati di spazi per uffici e circa 1 milione per spazi commerciali. Ma ben poco di tutto questo è stato realizzato. Attualmente, Songdo è abitata da circa 70 mila persone e vi hanno preso ufficio non più di 50 aziende, ma per due terzi il territorio urbano è vuoto e quel che era stato costruito comincia a degradarsi, creando spazi squallidi e insieme allucinanti. C’è qualche speranza che Songdo risorga? Le idee non mancano. Bisogna ripartire proprio dagli investors. Diversi soggetti stanno tornando in campo. Puntano su quartieri tagliati sul modello dei migliori americani e britannici, con vie alberate e massima pulizia, attenzione al decoro urbano e impiego di nuove tecnologie nell’edilizia per realizzare grattacieli sofisticati e belli a vedersi. Intanto, è già in costruzione il quartiere “American Town”, con tre grandi torri di 50 piani e altre due più contenute, dotati di 900 appartamenti complessivi e uffici per 1000 imprese. L’obiettivo è attirare la domanda di abitazioni di un certo livello, con prezzi da Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Canada, Germania e Nuova Zelanda. E qualcosa si muove… Sembra che oltre 1.200 unità abitative siano state già prenotate da compratori stranieri.
Oltre al vuoto spaesante, tuttavia, gli attuali abitanti di Songdo lamentano un altro grave problema: l’eccessivo costo della vita che impedisce a molti coreani di popolare la “città fantasma”. In realtà il progetto si attaglia a un target di clienti affatto diverso: stranieri ricchi ed eccentrici. Cosa dovrebbe indurre un magnate di Londra e di New York a trasferirsi in Corea del Sud a due passi da Kim Jong-Un? Forse soltanto un gusto esagerato per l’esotismo…