Per comprendere dove stiano andando le smart city del Dragone, e probabilmente quelle attive e in cantiere a livello globale, bisogna partire dalla stazione dei treni a nord di Shenzhen. Scopriremo il cuore pulsante di una metropoli che non si ferma mai, ma avremo anche la percezione del labile confine tra ordine, controllo e caos all’interno di una realtà complessa. Shenzhen ha 12,5 milioni di abitanti, quasi 10 volte quelli degli anni ‘90. Milioni di lavoratori vi si sono trasferiti, attirati dal boom del settore hitech. Nella stazione il flusso dei viaggiatori è febbrile e continuo. Ma anche regolato grazie a una straordinaria rete tecnologica che monitora e sorveglia la folla in ogni movimento. In altre parole, un chiaro esempio di come i sistemi digitali riescano a imporre l’ordine in una delle città più popolose della Cina. Shenzhen è diventata, infatti, un laboratorio urbano, dove le aziende tech collaborano con i funzionari della città sulle strategie necessarie per rispondere alle sfide presentate da una popolazione sempre in crescita. Strategie che potrebbero essere recepite e replicate in altre parti del mondo, man mano che l’economia globale si urbanizza. Il risultato è una città dove le autorità collezionano enormi quantità di dati per gestire il traffico cittadino, l’inquinamento, e risorse come acqua ed elettricità, però anche un luogo dove la bilancia tra privacy ed efficienza civica pende decisamente da una parte. Questo il problema.
Tutto è partito alcuni decenni fa, quando il Governo ha dichiarato Shenzhen ‘Zona economica speciale’, concedendo alle aziende locali esenzioni fiscali e libertà di sperimentare. Così, alcune delle più grandi aziende tech cinesi hanno trasferito il proprio quartier generale in questa città, compreso il gigante di social media e gaming Tencent, l’azienda tlc Huawei, il produttore di droni Dji. Non a caso, l’anno scorso, la produttività di Shenzhen ha raggiunto i 374 mld di dollari, sorpassando Hong Kong. Una delle aziende al centro di questo sforzo titanico di assalto al futuro è proprio Huawei, la cui disponibilità a lavorare con le autorità cinesi ha indispettito e allarmato partner esteri come gli Stati Uniti. L’azienda, tuttavia, dichiara di non usare la tecnologia per raccogliere dati sugli utenti e di non praticare lo spionaggio a danno di Paesi terzi. Sarà vero? Huawei, comunque, ha fatto squadra con Shenzhen per costruire il ‘cervello’ della città.
“La maggior parte delle metropoli si avvicinano a questo tema ragionando su ogni progetto singolarmente, ma non è molto efficiente”, afferma Edwin Diender, il chief digital transformation officer di Huawei. Shenzhen, invece, aggrega gli input di servizi diversi, sparsi per la città, nel feed di un centro di comando. In ogni momento, infinite telecamere, sensori e dispositivi mandano i propri dati a una piattaforma centrale, i cui risultati compaiono su una singola, enorme, bacheca digitale. Il feed aiuta i controllori a monitorare i flussi di traffico, l’utilizzo dell’acqua, e anche la frequentazione dei parchi pubblici, mentre naturalmente si tiene a bada il crimine. Aiuta anche a elaborare montagne di dati, permettendo ad esempio di prevedere come quel palazzo in costruzione andrà ad impattare su traffico e consumo di elettricità. Per alimentare questa macchina, vorace di dati, Shenzhen ha automatizzato la registrazione dei nuclei familiari dei nuovi residenti, il modo migliore per aggiornare i suoi criteri. Alcuni benefici di questa tecnologia sono evidenti. Gli automobilisti cinesi hanno dovuto sopportare pessime condizioni di guida per parecchio tempo. Ma il ‘cervello’ di Shenzhen, che tra le altre cose sincronizza in tempo reale le luci dei semafori in base alla viabilità, sta aiutando le macchine a circolare in maniera più fluida. In varie interviste, gli abitanti hanno sottolineato quanta sicurezza si è ottenuta grazie alla raccolta dati, che ritengono una delle migliori qualità della città. Questa potenza verrà presto amplificata dal 5G, che può rendere quasi istantanee le comunicazioni tra sensori, dispositivi e database. Intorno a Shenzhen sono stati costruiti più di 13mila impianti, che permetteranno alla città di diventare la prima con copertura 5G completa, forse già in autunno. Richard Hu, professore di urbanistica all’Australian National University che ha studiato a fondo Shenzhen, dice che l’implementazione del 5G potrebbe dare vita a una schiera di nuovi benefici, come la guida autonoma e un miglior accesso alle cure mediche. Nel marzo 2019, usando una connessione 5G, alcuni medici collegati da Pechino hanno usato un robot per fare un intervento neurochirurgico a 2.000 km di distanza, proprio a Shenzhen.
Indubbiamente, risultati prodigiosi, consentiti e tenuti insieme da un collante speciale: la sorveglianza. Sul punto è aperto il dibattito. Come non ricordare a tal proposito il libro fondamentale di Michel Foucault “Sorvegliare e punire”, tarato sulla nascita della civiltà Occidentale, ma che oggi potrebbe forse essere riscritto in chiave post-moderna focalizzando il sistema asiatico. In ogni caso, chi sostiene l’utilità della sorveglianza, ne indica le conseguenze positive sulla sicurezza. Una per tutte, la capacità di rintracciare rapidamente persone esposte al Coronavirus. I critici invece puntano il dito contro lo sviluppo tecnologico di Xinjiang, come apodittico esempio negativo, dove l’utilizzo da parte della Cina di un network altamente tecnologico per controllare i membri della minoranza degli Uiguri ha fatto esplodere la polemica sull’equilibrio tra diritti umani e sicurezza. Anche a Shenzhen alcuni residenti pensano che il riconoscimento facciale sia troppo invadente e lesivo della privacy, dunque potenzialmente suscettibile di produrre nuovi conflitti e imprevedibili alienazioni. In qualunque direzione si evolva il dibattito, una cosa è certa: attraverso la diffusione globale delle smart city, il paradigma Potere/Controllo/Sorveglianza/Repressione sta assumendo connotati e declinazioni inediti e tutti da analizzare.