L’onda lunga delle smart city segna l’orizzonte della trasformazione urbana ai quattro angoli del pianeta. Le megalopoli, come le piccole e medie città di provincia, fanno a gara a chi metta in campo i progetti più innovativi sotto l’egida dell’”intelligenza tecnologica”. Ma non sempre i risultati sono all’altezza delle promesse, anzi talora emergono ombre e negatività in certe esperienze. Una per tutte, il cyber-villaggio di Quayside, agglomerato urbano digitale alle porte di Toronto che avrebbe dovuto costituire una sorta di modello ideale da clonare e replicare in giro per il mondo. In questo caso, a guastare la festa sono state le dimissioni di Ann Cavoukian, punta di diamante di
di Sidewalks Labs (società consorella di Google), che stava lavorando al futuribile progetto della smart town canadese. Il punto di rottura è stato la difesa della privacy dei futuri abitanti. La situazione è precipitata quando la Cavoukian ha realizzato che il patrimonio informativo del nuovo distretto tecnologico sarebbe stato ceduto dietro compenso anche a “soggetti terzi”, senza alcuna tutela della riservatezza dei dati personali. Stessa decisione quella adottata da Saadia Muzaffar – tra l’altro fondatrice di TechGirls Canada – che ha lasciato il comitato strategico dell’iniziativa dopo aver preso atto che le raccomandazioni formulate in tema di privacy non erano state minimamente prese in considerazione. Gesti isolati che minimamente intaccano la potenza evocativa del concetto di “Smart city”? Non esattamente, giacchè la difesa della privacy sta diventano la principale preoccupazione dei cittadini digitali a livello globale, molto più delle fake news che allignano nel Web, come dimostra anche una recente ricerca condotta in Italia. Questo dunque il terreno privilegiato del conflitto che si sta delineando fra chi lavora per un mondo digitalizzato e necessariamente ipercontrollato con la scusa di garantire la sicurezza, ma invece perseguendo una logica securitaria, e chi, al contrario, continua a interpretare la Rete e la trasformazione urbana come strumenti di potenziamento dell’autonomia dell’individuo sociale contemporaneo. In altre parole, come dimensioni nelle quali la tecnologia liberi e migliori, invece che celebrare il trionfo del potere degli algoritmi, sottomettendo, disumanizzando e schiavizzando.