La riforma costituzionale, entrata in vigore l’8 novembre 2001, investe la suddivisione dei poteri tra i diversi livelli territoriali di governo, stabilendo una nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni. La portata del cambiamento è rilevante e rende possibile una nuova fase di sviluppo, in cui gli elementi di regionalizzazione costituiscono occasione per un più forte radicamento delle politiche per la salute e della programmazione e organizzazione dei servizi sanitari nel quadro delle responsabilità regionali. Allo stesso tempo però, nel corso degli anni, è stata registrata una difformità delle performance tra le varie regioni e, quindi, un’assenza di regolamenti unificati con la conseguente disparità dei livelli di servizi. Ciò ha prodotto una diversificazione dei risvolti medico-legali con quelle che si possono definire ‘giurisprudenze regionalizzate’. In Italia, il Servizio sanitario nazionale da universalistico si sta trasformando in servizio “ intermedio o misto”. Uno dei principi fondanti della nostra Carta Costituzionale era quello di garantire a tutti i cittadini della Repubblica il diritto di cura della salute a tutela dell’interesse generale del paese (art. 32). Sicuramente, in quel periodo storico, il sistema sanitario in generale era sicuramente meno complesso, più personalizzato (medico di famiglia) e meno tecnologico. L’evoluzione nel tempo ha prodotto un sistema basato sulla medicina predittiva, cioè con cure, interventi e farmaci personalizzati, sulla dotazione ai pazienti di importanti ausili tecnologici e funzionali per monitoraggio in running delle patologie acquisite. Questo ha portato all’esborso di importanti risorse finanziarie per la sanità e quindi una maggiore contribuzione da parte della popolazione. Ma il costante incremento della pressione fiscale genera, inevitabilmente, aspettative maggiori da parte dei cittadini-pazienti, a questo punto clienti. Siamo, insomma, di fronte ad un cambio di paradigma. Fino ad oggi il sistema universalistico ha garantito adeguati livelli essenziali di assistenza. Ora non basta più. I bisogni di salute espressi dai cittadini sono qualità e sicurezza delle cure.
La risposta viene proprio dalla Legge Gelli-Bianco “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. L’impianto strutturale della legge “Gelli/Bianco” è, rispetto alle esperienze normative che l’hanno preceduta, di tutt’altra consistenza, mirando con ambizione alla costruzione di un sistema di responsabilità sanitaria obbligatoriamente assicurata ed economicamente sostenibile, all’insegna di una nuova calibratura delle tutele, soltanto apparentemente contrapposte, su cui tale sistema si fonda: quella dei pazienti, quella dei medici e quella delle strutture sanitarie.
Il focus, dunque, si concentra sulla “sicurezza delle cure”, nozione che presuppone e completa (e contribuisce ad attuare) il monumentale riferimento costituzionale (art. 32) al diritto alla salute, e che in questo nuovo contesto mira, tra l’altro, a sancire – con bella rotondità – l’idea che quel diritto non sia presidiato dal sistematico ricorso alla lite ma, al contrario, trovi sua massima espressione nel concetto stesso di prevenzione.
E’ importante però sottolineare che in nessuna struttura sanitaria esiste il rischio “zero” . Pertanto per la gestione del rischio è determinante adottare uno sistema di gestione del rischio in sanità che ne diminuisca l’incidenza e implementi il livello di qualità e sicurezza. La norma vuole chiaramente indicare la necessità che alla “prevenzione” e “gestione del rischio” si provveda mediante l’implementazione di veri e propri modelli organizzativi improntati ai principi aziendali di Risk Management. Si tratta di spostare l’angolo visuale, provando a depotenziare il ruolo del rimedio postumo risarcitorio e, correlativamente, ad enfatizzare il momento della prevenzione del rischio, che dovrebbe intercettare l’errore, evitandolo e relegando il risarcimento al rango di extrema ratio.
Solo la qualità tende a ridurre in modo significativo il rischio clinico perché migliorano gli esiti dei percorsi assistenziali. La sicurezza dell’assistenza è infatti una dimensione della qualità ed è il conseguente completamento ed evoluzione dell’art. 32 della Costituzione.