E’ ormai acclarato che economia legale ed economia criminale costituiscano un circuito integrato. Quest’ultima, infatti, funge da meccanismo sussidiario di accumulazione del capitale su scala globale attraverso il riciclaggio del “denaro sporco” che va ad alimentare le attività lecite in varie forme. Non si tratta di un teorema ideologico, bensì di dati reali riconosciuti dalle autorità ufficiali e scrupolosamente analizzati dai centri studi più autorevoli. La CGIA di Mestre, ad esempio, ha lanciato recentemente un allarme che va preso sul serio: nel 2019 sono state segnalate all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia oltre 105 mila operazioni sospette di riciclaggio, record mai toccato prima. Si tratta di presunti introiti illeciti che le organizzazioni criminali cercano di reinvestire in aziende o settori “puliti”. Nel primo quadrimestre 2020, inoltre, la Uif ha ricevuto 35.927 segnalazioni, con un incremento del 6,3% rispetto allo stesso periodo del 2019. “Secondo una nostra stima su dati della Banca d’Italia – dichiara a proposito il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo – ammonta a circa 170 miliardi di euro l’anno il fatturato ascrivibile all’economia criminale presente in Italia. In altre parole, lo stesso Pil della Grecia. Una cifra impressionante che, tuttavia, non comprende i proventi economici derivanti da reati violenti – come furti, rapine, usura ed estorsioni – ma solo da transazioni illecite di carattere economico-finanziario come, ad esempio, il contrabbando, il traffico di armi, le scommesse clandestine, lo smaltimento illegale dei rifiuti, il gioco d’azzardo, la ricettazione, la prostituzione e la vendita di sostanze stupefacenti.
Il fenomeno è talmente palese che, da qualche anno, una quota di questi 170 miliardi, pari a poco più del 10% del totale, viene conteggiata, grazie alle nuove disposizioni europee in materia di contabilità nazionale, perfino nel nostro Pil nazionale. Ma non finisce qui, sottolinea la CGIA. La conferma dell’importanza del giro d’affari delle organizzazioni criminali emerge anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all’Uif, struttura presente all’interno della Banca d’Italia. Stiamo parlando delle operazioni economico-finanziarie sospette “denunciate” a questa Unità da parte degli intermediari finanziari (istituti di credito, uffici postali, notai, commercialisti, gestori di sale giochi, società finanziarie, assicurazioni, etc.). Le principali forme tecniche che nel 2019 hanno originato le segnalazioni alla Uif, ad esempio, hanno riguardato, in particolar modo, i bonifici nazionali, i money transfer e le transazioni avvenute in contanti.
“E’ evidente – commenta il segretario della CGIA, Renato Mason – che le organizzazioni che gestiscono queste attività criminali hanno la necessità di reinvestire i proventi nell’economia legale. Ed è molto importante che in sede di controllo le autorità preposte siano in grado di distinguere bene il capitale dell’azienda da quello di provenienza sospetta, al fine di evitare commistioni che potrebbero generare, in fase d’istruttoria, dei pericolosi fraintendimenti. Il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2019, comunque, è un segnale molto preoccupante. Pur non conoscendo il numero delle segnalazioni archiviate dalla Uif e nemmeno la dimensione economica di quelle che sono state successivamente prese in esame dalla DIA o dalla Polizia Valutaria, abbiamo il sospetto che l’aumento delle segnalazioni registrato in questi ultimi anni dimostri come l’economia criminale sia l’unico settore, in tutto il Paese, che non abbia risentito della crisi”.
Secondo l’Ufficio studi della CGIA, inoltre, l’aumento delle segnalazioni di riciclaggio potrebbe trovare una sua “giustificazione” nel fatto che in questi ultimi anni gli impieghi bancari vivi alle imprese abbiano subito una contrazione molto forte. Pertanto, non è da escludere che avendo ricevuto molti meno soldi dagli istituti di credito, tanti imprenditori, soprattutto piccoli, si siano rivolti a coloro che potevano erogare del credito con una certa facilità. Tra il giugno del 2011 (picco massimo di erogazione dei prestiti bancari alle imprese) fino allo stesso mese di quest’anno, infatti, le aziende italiane hanno subito una stretta creditizia pari a 250,5 miliardi di euro (-27%). Se nelle realtà economiche con più di 20 addetti la riduzione è stata pari a 196,7 miliardi (-26,1%), nelle piccolissime attività con meno di 20 addetti la diminuzione è stata di 53,8 miliardi (-30,8%). Tra il 2009 e il 2019 le segnalazioni sono aumentate di oltre il 400%. Se nel 2009 erano 21.066, l’anno scorso hanno raggiunto la quota record di 105.789. A livello territoriale le Regioni più “colpite” nel 2019 sono state la Campania (222,8 segnalazioni ogni 100 mila abitanti), la Lombardia (208,1) la Liguria (185,3) e la Toscana (184). Le realtà meno interessate, invece, sono state l’Abruzzo (115,7 ogni 100 mila abitanti), l’Umbria (110,3) e la Sardegna (86,6). Rispetto al 2018, Sicilia (+26,3 per cento), Molise (+23,8 per cento) e la Basilicata (+17,4 per cento) sono state le realtà che hanno registrato le variazioni percentuali di crescita del numero di segnalazioni più importanti. Infine, le uniche regioni in controtendenza sono state il Piemonte (-0,5 per cento), la Toscana (-1,6 per cento), l’Umbria (-3,3 per cento) e la Valle d’Aosta (-4,3 per cento).
Che accadrà ora con l’annunciata pioggia di miliardi del Recovery Fund? Il rischio è alto, la sfida della legalità tutta da giocare.
Fonte: CGIA di Mestre