Mosca: l’Araba Fenice delle megalopoli
Cultura 9 Dicembre 2024, di Guglielmo MaccioniXXI, il secolo delle megalopoli: diciottesimo capitolo del nostro viaggio all’interno di un fenomeno demografico cruciale per lo sviluppo delle comunità del nuovo millennio

Molte sono le città bruciate eppoi ricostruite, probabilmente solo questa lo è stata almeno sette volte. Senza scomodare il misticismo – la Siberia, terra di sciamane, è lì vicino – la forza esercitata da questa capitale sull’immaginario e sulla storia del proprio popolo non si trova da nessuna parte. Di lei Puškin disse: “Quante cose e quanto sento echeggiare in questo suono, come palpita il cuore russo a questo nome!”. Anche Napoleone volendo colpire mortalmente la Russia non puntò sull’allora capitale San Pietroburgo ma su Mosca. Allora cosa c’è sulla collina del Cremlino da rendere questi luoghi così speciali, magnetici, “pesanti”?
C’era una volta, alle estremità nordorientali dell’Europa dell’anno mille, un insignificante villaggio in riva a uno dei tanti giganteschi fiumi di quelle parti. Un grumo di case evidentemente così povero da non essere neppure degno di un nome proprio. I rari viandanti che ci si imbattevano lo identificavano semplicemente associandolo al fiume che vi scorreva accanto – “quel villaggio sulla Mosca” – probabilmente per segnare un punto di riferimento in più sulle proprie precarie mappe.
Sono terre dure quelle, distese in cui l’uomo avverte la soverchiante presenza della natura. Immensi boschi di betulle e di conifere capaci di ingoiare eserciti solcati da un intrico di corsi d’acqua spesso difficili da attraversare soprattutto durante il disgelo in primavera, orsi o branchi di lupi che sentono essere i signori di un territorio selvaggio e banditi sulle rare vie che consentono gli spostamenti tra Baltico, Caspio, Polonia ed Urali distanti fra loro migliaia di chilometri. In questo regno del freddo e del silenzio Mosca si trova spersa su una sorta di limes: a sud il vasto fiume omonimo la separa dalle paludi e dalle immense pianure ucraine su cui galoppano i terribili mongoli, a nord si estende la foresta boreale che pare arrivare sino ai confini del mondo, sicuramente sino alla Siberia, la glaciale terra-che-dorme. Da nordovest molti secoli prima sono discese alcune tribù vichinghe – i Rus’ – che hanno colonizzato queste terre sino all’odierna Kiev, città già importante ben prima che il nome di Mosca venisse anche solo vergato per la prima volta su un documento. Questo accade nel 1147 e proprio sulle “Cronache degli anni passati”, primo resoconto scritto della storia altomedievale della Rus’ di Kiev il più importante regno slavo del tempo. Fu Jurij Dolgorukij (“Giorgio Lungamano”), signore della Rus’ di Vladimir-Suzdal, principato emergente in quegli anni a scapito di quello di Kiev in decadenza sotto le scorribande mongole, il primo a prestare attenzione a quello sperduto villaggio. Forse si accorse delle favorevoli condizioni idrografiche in cui si trovava, con la Moskva (o Moscova com’è conosciuta in Occidente) che, attraverso un altro fiume, l’Oka, consentiva di navigare sino al Volga e da qui sino al Caspio. In territori vastissimi, scarsamente popolati, dotati di poche strade e difficilmente controllabili, poter sfruttare le grandi vie d’acqua che attraversano il Paese può rivelarsi decisivo. Mosca certo non può competere con Suzdal, Novgorod, Rostov, Tver’ per non parlare di Kiev, però nel 1156 viene munita da Jurij Vladimirovic di una prima cinta di mura difensive – una semplice palizzata in legno con fossato – proprio nel punto in cui sorgerà la cittadella fortificata russa per antonomasia: il Cremlino.
Parrebbe una città dalla posizione insignificante Mosca, una fra le tante in un territorio vastissimo, ma negli ambiziosi progetti dei principi che si susseguono in quel periodo, il paesone in riva alla Moscova risalta in tutta la sua baricentricità in un futuro, grande regno unificato dal Baltico al Mar Nero e dalla Polonia al Volga. In sintesi sono le aumentate conoscenze geografiche unite alle ambizioni di singoli personaggi che faranno la fortuna di Mosca.
Il fattore dirompente della metà del XIII secolo fra i potentati russi è determinato dall’arrivo dei mongoli dell’Orda d’oro che saccheggiano più volte Kiev – ponendola su un piano di crisi irreversibile – e, quando possono, anche le altre città. Nonostante si tratti di popoli nomadi i tatari impongono il loro potere sulle odierne Ucraina, Bielorussia e parte della Russia costringendo ad uno stato di vassallaggio i principi delle Rus’. Rimangono comunque popoli delle steppe e difficilmente si avventurano tra le grandi foreste del nord, per questo Mosca e le sue sorelle appaiono relativamente tranquille nonostante il Cremlino venisse assaltato e dato alle fiamme nel 1236 quasi come monito alle città del Principato di Suzdal che i mongoli possono castigarle quando vogliono. Ma ormai Mosca ha rivelato le proprie potenzialità geografiche, viene quasi subito ricostruita e nel 1272 sono praticamente gli stessi mongoli a consegnarla nelle mani di Daniil Aleksandrovic, figlio di quel Aleksandr Nevskij che pochi anni prima ha sconfitto i cavalieri teutonici nella famosa battaglia del lago Peipus e che più tardi assurgerà a eroe di tutte le Russie. Daniil diventa il primo Principe di Mosca ma è il suo secondogenito, Ivan I, a metà XIV secolo a consolidare e aumentare il potere del Principato e a trasformarlo, attraverso una politica condotta su un pericoloso crinale tra prudenza e spregiudicatezza, in Granducato di Mosca o Moscovia, un regno abbastanza grande da essere rispettato dai mongoli dell’Orda d’oro e al contempo intessere rapporti commerciali con le ricche città anseatiche del nord Germania. Mosca attraverso il controllo di pochi, strategici fiumi, riesce a ricavare ingenti guadagni dal commercio di miele, pellicce e cera, storici prodotti russi di cui le corti dell’Europa occidentale sono ghiotte. Ivan riesce poi a trasferire nella propria capitale il metropolita di Kiev aumentando il prestigio della città e conquistandosi le simpatie del clero ortodosso e al volgere del secolo il Granducato è persino pronto a sfidare apertamente i mongoli che batte nel 1380 nella battaglia di Kulikovo. Da questo momento i principi delle città russe fanno a gara a legarsi in un rapporto di vassallaggio con la ormai potente vicina: è la nascita della nobiltà russa, i boiardi. In realtà l’affrancamento completo dai tataro-mongoli non riesce subito e anzi, Mosca rischierà assedi e saccheggi ancora per molti anni ma la crescita della Russia moscovita passa anche attraverso questo percorso irto di difficoltà contro le prepotenze dell’Orda. Intanto la città si arricchisce di preziose chiese e monasteri all’esterno e all’interno del Cremlino, le cui mura sono ormai di mattoni e a cerchie plurime.
Ivan III a fine XV secolo sposa Zoe (Sofia), nipote dell’ultimo Imperatore Romano d’Oriente (Costantinopoli cade in mano turca durante il regno di Ivan III, nel 1453) e si proclama erede dell’Impero Bizantino. Mosca assurge al ruolo di capitale di un grande stato arrivando a contare più di 200.000 abitanti e durante il regno di Ivan IV il Terribile (il primo a proclamarsi zar, da Caesar) la Russia europea verrà unita, nonostante le convulsioni che la agitano in questi anni – nel 1561 viene inaugurata la cattedrale di San Basilio ma il Cremlino verrà incendiato dai Tartari un’ultima volta nel 1571, Ivan dovrà affrontare rivolte e congiure dei boiardi che stroncò coi suoi metodi spicci e a fine secolo la capitale fu messa a ferro e fuoco dalle truppe polacco-lituane che approfittarono del clima da guerra civile dello stato. All’inizio del XVII secolo viene eletto zar Michele Romanov il quale pacificherà la Russia e darà vita alla dinastia omonima che regnerà sino alla Rivoluzione d’Ottobre del XX secolo.
Mosca è ormai la città egemone di tutte le Russie e ne rappresenta cuore ed essenza. E’ la porta verso l’Europa occidentale e per quest’ultima la chiave del mondo slavo. Nonostante ciò nel 1703 la capitale viene spostata nella nascente San Pietroburgo che affaccia sul golfo di Finlandia e rappresenta la proiezione delle ambizioni di Pietro il Grande verso una Russia più vicina alle potenze del nord Europa. Per Mosca incominciano due secoli di quasi anonimato con la corte che trasloca al Palazzo d’Inverno sul Baltico e gli interessi geopolitici del Paese che seguono a ruota. La popolazione ripiomba abbondantemente al di sotto delle 200.000 unità fra le quali sono poche ormai le grandi casate nobili quasi tutte al seguito degli zar a San Pietroburgo ma è sintomatico però che Napoleone, volendo colpire al cuore il Paese punterà ancora sulla vecchia città in riva alla Moscova. Anno 1812, l’armata di Francia penetra come una lama rovente nel burro bielorusso e il 14 settembre entra senza trovare resistenza all’interno della vecchia capitale. La città è deserta come una ghost town dopo la corsa all’oro e per i francesi diviene complicato anche sfamare il proprio esercito. Calano le tenebre e, in un silenzio irreale, scoppiano i primi incendi, dapprima domati con una certa facilità poi via via sempre più difficili da gestire sino a quando, il giorno dopo, ci si rende conto che la situazione sta diventando inquietante. Mosca verrà sacrificata per salvare la Grande Madre Russia, 3/4 di città verranno inghiottiti dalle fiamme ma i francesi sono costretti a ritirarsi e rientrare in Patria affamati e in preda alle malattie.
Pagato alla guerra il tributo più alto fra tutte le nazioni partecipanti, il regime metterà mano all’ennesima ricostruzione di una città ancora una volta in ginocchio. Tra i tanti lavori spiccano l’ulteriore espansione della metropolitana e le “khrushcevka”, case popolari in pannelli prefabbricati il cui involucro poteva essere tirato su in 12 giorni tanta era la penuria di abitazioni in una città che andava facendosi megalopoli.
Nella vetrina delle Olimpiadi del 1980 una Mosca oramai ricostruita e che supera ormai gli 8 milioni di residenti, cercherà di mostrarsi al mondo come una metropoli efficiente, moderna e aperta a tutti ma è una parata dal retrogusto amaro come quelle tutte d’un pezzo che solitamente vanno in scena sulla Piazza Rossa, dove tutti sanno cosa si nasconde dietro quelle grandiose coreografie di cartapesta. Dieci anni dopo, col crollo del regime, la città piomba in un euforico clima da ritrovata libertà cui probabilmente non era abituata come non era abituata a quella sorta di gangsterismo che, con la delegittimazione delle istituzioni, inevitabilmente lo accompagna. Fiumane di nuovi ricchi corrono per le strade, nuove imprese non proprio trasparenti nascono e muoiono come funghi come nascono e muoiono night-club e strip-tease dove si consuma più champagne e cocaina che a Parigi e Mexico City. Il tutto infarcito da regolamenti di conti in stile Chicago anni ’30 mentre la gente cerca di adattarsi a quel terribile ambiente che ricorda i peggiori incubi del capitalismo più sfrenato e corrotto.
E’ una sbornia che dev’essere necessariamente attraversata ma paradossalmente è proprio in quel momento che Mosca fa conoscere al mondo la propria energia, vitale, creativa e autodistruttiva, nascosta e imbrigliata per troppo tempo. Non sono pochi i musicisti e i creativi in genere che si trasferiscono in città proprio durante i suoi anni più caotici e pericolosi. Ma in fondo, l’antica capitale russa, che ha conosciuto ben altro che una pletora di squallidi mafiosi che giocano a fare i nouveaux riches, in quel decennio di fine secolo non si dev’essere neppure scomposta troppo. Oggi il suo approccio alla ricchezza e alla libertà è più sobrio e maturo, con la ritrovata eredità culturale che fa da contraltare alle volgarità di certa squilibrata nomenklatura.
Incastonata tra gli avveniristici grattacieli della city, il monumentalismo staliniano dell’hotel Ucraina e le cupole a cipolla attorno al Cremlino sembrano tanti i fantasmi a Mosca, troppi, immersi in un limbo estetico ed esistenziale che pare la cifra identitaria di questa città, eternamente sospesa tra la voglia di sentirsi definitivamente accettata nel club delle consorelle occidentali e il forte retaggio slavo che si respira anche solo leggendo i nomi di talune strade, pure se colonizzate dai grandi marchi europei e americani.
Forse è il destino che accompagna da sempre il piccolo villaggio in riva alla Moscova, che i viandanti incontravano a metà strada tra gli impenetrabili boschi di betulle del nord e le infinite pianure dei tartari a sud, a metà strada tra le sofisticate corti di Budapest e Varsavia a ovest e le selvagge terre siberiane oltre gli Urali a est…
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