Il fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata negli Enti locali ha assunto negli ultimi anni dimensioni sempre più inquietanti. Dal 1991, anno di entrata in vigore della legge, ad oggi sono stati emanati 302 decreti. Da gennaio 2012 a maggio 2018 gli scioglimenti deliberati sono stati 105, dei quali 5 annullati dai giudici amministrativi. Dall’inizio del 2018 sono già 16 i Comuni sciolti, di cui: 7 in Calabria (Briatico, Cirò Marina, Limbadi, Platì, S. Gregorio d’Ippona, Scilla, Strongoli); 3 in Campania (S. Gennaro Vesuviano, Caivano, Calvizzano); 3 in Puglia (Manduria, Mattinata e Surbo); 3 in Sicilia (Camastra, Bompensiere, Trecastagni).
I dati sono forniti da Avviso Pubblico, rete di Comuni, Regioni ed Enti locali contro le mafie che sul proprio sito, oltre ad un’ampia documentazione sul tema dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, corredati da mappe interattive, grafici e dati statistici riassuntivi, fa una puntuale ricostruzione della normativa e della giurisprudenza dei giudici amministrativi e del dibattito parlamentare e pubblica un’analisi delle motivazioni alla base dei decreti di scioglimento adottati nell’ultimo anno e mezzo, utilizzando a tal fine le relazioni allegate ai decreti presidenziali, le recenti relazioni del Governo sull’attuazione della legge e le motivazioni delle sentenze di Tar e del Consiglio di Stato.
Ma perché i Comuni vengono sciolti? Uno studio pubblicato lo scorso 5 giugno da Avviso Pubblico cerca di dare una risposta a questa domanda.
Analizzando le relazioni allegate ai decreti presidenziali, quelle del Governo sull’attuazione della legge e le motivazioni delle sentenze di Tar e del Consiglio di Stato lo studio evidenzia che: “nella gran parte dei casi la procedura di verifica sulle infiltrazioni mafiose negli Enti locali è stata avviata da inchieste della magistratura sulle attività illegali dei singoli clan nelle rispettive zone di influenza”.
Esemplari i casi di Borgetto, si legge nello studio, a proposito del quale la relazione del Ministro parla di un “accordo politico-mafioso in base al quale i candidati sostenuti dalla consorteria mafiosa una volta eletti avrebbero dovuto garantire come controprestazione l’affidamento di alcuni servizi”; di Lavagna, dove si registrano “diversi incontri tra l’organo di vertice dell’ente e personaggi di spicco del sodalizio, in occasione dei quali è stata discussa anche la composizione della futura giunta”e di Scafati dove si ipotizza un “vero e proprio patto elettorale-mafioso finalizzato all’infiltrazione di società riconducibili alla stessa associazione camorristica in appalti ed apparati della pubblica amministrazione in cambio di propaganda elettorale e promessa di voti”.
“In molti degli Enti sciolti si registra una sorta di ‘disordine amministrativo’: inosservanza delle normative in materia di trasparenza e anticorruzione, mancata approvazione di regolamenti nei settori strategici, assenza di un albo dei fornitori, ricorso ad affidamenti diretti o con procedure anomale ed a soggetti privi dei necessari requisiti, inadeguatezza del sistema dei controlli, condizioni che ampliano la discrezionalità dell’Amministrazione e facilitano i fenomeni di corruzione e di influenza e condizionamento da parte delle organizzazioni criminali”.
“Quasi tutte le relazioni – continua la relazione – fanno emergere un coinvolgimento, a vario titolo, di dipendenti della burocrazia comunale e l’importanza, per le commissioni straordinarie e per i futuri amministratori che entreranno in carica al termine del primo turno elettorale, di poter contare su risorse di personale aggiuntivo, proveniente da altre Amministrazioni, in grado di sostituire i dipendenti che non offrano le indispensabili garanzie di indipendenza e di rispetto dei principi dell’etica pubblica”.