Il braccio di ferro va avanti da quasi un anno. Da un lato c’è il governo, che vuole introdurre una normativa nazionale per regolamentare l’offerta di gioco d’azzardo. Dall’altra ci sono Comuni e Regioni che chiedono al governo di non cancellare i divieti introdotti finora per arginare la piaga della ludopatia. Intanto il sindacato dei tabaccai ha fatto partire il primo esposto-denuncia alla Corte dei Conti contro il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori (Pd) – ma altri sono in preparazione in Toscana, Piemonte, Veneto e Roma, dove la sindaca Virginia Raggi ha annunciato che il centro storico della Capitale “sarà off limits alle slot machine” – che imponendo un’ordinanza molto restrittiva a slot machine, scommesse e lotterie causerebbe un danno erariale agli esercenti.
Nella controversia irrompe ora con la consueta verve dissacrante il sociologo Paolo Crepet, autore di una perizia dalla parte di Lottomatica contro il Comune di Bergamo. Lo scorso novembre i sindaci lombardi avevano scritto a Renzi una lettera aperta dal titolo: «Ludopatia, il governo deve fare di più». La firmò un «fronte compatto» dei primi cittadini della Lombardia. Uno schieramento che, partendo da Giorgio Gori al milanese Beppe Sala, arrivava al bresciano Emilio Del Bono e coinvolgeva tutti gli altri sindaci dei capoluogo di provincia della regione.
Il sindaco di Bergamo, peraltro, è passato ai fatti: ha varato un regolamento e un’ordinanza per fissare dei paletti che arginassero la piaga, che vede ormai i bergamaschi giocarsi 2.536 euro l’anno a testa. Una cifra mostruosa. In una provincia che ha visto bruciare in otto anni 36 mila posti di lavoro e salire a 20 mila (dati Cisl) le famiglie in povertà assoluta. Poche regole ma chiare, quelle bergamasche: sale gioco e punti-azzardo lontani da scuole, ospedali, bancomat, luoghi sensibili e chiusi in tre fasce orarie, colazione, pranzo, cena, per «rendere difficoltoso il consumo di gioco in orari tradizionalmente e culturalmente dedicati alle relazioni familiari» e «indurre i giocatori patologici ad una pausa forzata» che interrompa la schiavitù da tossicomane di chi passa ore alla slot-machine.
Ebbene, secondo Crepet intenti «lodevoli» ma di fatto inutili. Sostiene, infatti, il sociologo che «non esiste un punto di riferimento scientificamente accertabile», che come riconosce il Dipartimento Politiche Antidroga di Palazzo Chigi «non vi sono dati statistici completi ed esaurienti», che è impossibile «stabilire un serio e probativo rapporto di causa/effetto tra il gioco (quale? per quanto tempo?) e gli effetti psicopatologici (quali?)», che i Comuni danno dati imprecisi e insomma che la situazione d’insieme è così complessa e i giocatori così coinvolti in altri problemi che è «difficile sia capire qual è la patologia di partenza sia qual è la prevalente».
Quanto alle invocazioni d’una svolta radicale contro l’azzardo, schizzato in valuta attuale da 8,8 miliardi di euro nel 1993 a 95,97 nel 2016 con un incremento reale di oltre il 1000%, Crepet si spinge a dire: «Non si tengono in considerazione alcuni effetti potenzialmente positivi del gioco, quali la socializzazione, il diritto al sogno, la possibilità di alleviare la propria amarezza e la propria tristezza: non credo che tocchi allo Stato disciplinare anche i sogni e le speranze…».
Ma la reazione di Giorgio Gori non si è fatta attendere: «Ippocrate si starà rivoltando nella tomba», risponde a muso duro il sindaco. «I sogni? Abbiamo problemi enormi di persone che hanno perso tutto e Crepet parla del diritto ai sogni?» «Qui non parliamo del sogno di vincere al Totocalcio quando la ludopatia colpiva solo i pochi che andavano a giocare nei quattro casinò italiani», rincara lo psichiatra Graziano Bellio, tra i massimi esperti del settore. «Qui parliamo di sogni indotti da chi specula sulle fragilità». «Tutte le indagini tendono a evidenziare che i nuovi giochi d’azzardo riducono drasticamente la socialità rispetto al passato», accusa il gruppo Abele. «È emblematica l’immagine ipnotizzante e solipsistica di chi se ne sta aggrappato a una slot-machine, solo solo, nel retro di un locale». «Sa quante slot ci sono alle Piagge, periferia di Firenze?», chiede il sindaco Dario Nardella, «Una ogni 65 abitanti. Ogni 20 famiglie. Eppure il Tar, sui nostri paletti, ci ha dato torto».
I primi risultati nella battaglia dei sindaci contro le ludopatie sono per ora contrastanti: se Bergamo ha vinte tre ricorsi su quattro al Tar. Comprese tutte quelle contro Lottomatica. Firenze e i Comuni di Desio, Verbania, Torino, Venezia, Grosseto hanno via via perso (anche per errori di sindaci pieni di buona volontà ma un po’ garibaldini). Crescono, tuttavia, quelli che hanno vinto. Da Napoli a Pavia, da Tortona a Imola, da Seriate ad Anacapri. Dove i padroni dell’Azzardo sono arrivati a fare un ricorso straordinario al Capo dello Stato. La sentenza firmata come estensore da Mauro Zampini ha dato loro torto. Riconoscendo, in base a numerosi altri verdetti, «la legittimità delle ordinanze del Sindaco al fine di contrastare il fenomeno del gioco di azzardo patologico».
Ora la palla torna allo Stato che, prima o poi, dovrà scegliere: si vuole edificare ( legittimamente) un’immensa Las Vegas o si vuole puntare sulla linea invocata dai sindaci: un’azione forte e condivisa che nasce dalla consapevolezza di come questa dipendenza sia una grave piaga sociale da contrastare sia in termini di prevenzione, che di cura e repressione? Una decisione, visti i numeri da incubo, deve essere presa al più presto.
Intanto, se la proposta di alcuni partiti di vietare la pubblicità all’azzardo è bloccata da quasi due anni in Parlamento registriamo la posizione del ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «La ludopatia è un fenomeno gravissimo». Sul sito ufficiale si legge: «Il Disturbo da Gioco d’Azzardo (Dga) non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria patologia, che rende incapaci di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse in denaro». Il che «può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio».
In conclusione il pensiero di don Antonio Mazzi, totalmente opposto a quello di Crepet, che, di recente, non ha esitato a definire questa piaga sociale come «l’eroina del terzo millennio».