«La Corte Costituzionale, intervenendo ancora una volta sulla legge 40 – si legge nel comunicato diffuso dalla Consulta –, ha esaminato le due questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze, relative, rispettivamente, al divieto (art. 13 della legge 40) di ricerca clinica e sperimentale sull’embrione non finalizzata alla tutela dello stesso; e al divieto (art.6) di revoca del consenso alla procreazione medicalmente assistita dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo. La prima questione è stata dichiarata inammissibile in ragione dell’elevato grado di discrezionalità, per la complessità dei profili etici e scientifici che lo connotano, del bilanciamento operato dal legislatore tra dignità dell’embrione ed esigenze della ricerca scientifica: bilanciamento che, impropriamente, il Tribunale chiedeva alla Corte di modificare, essendo possibile una pluralità di scelte, inevitabilmente riservate al legislatore. La seconda questione è stata dichiarata, a sua volta, inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio di merito, nel quale risultava che la ricorrente aveva comunque, di fatto, deciso di portare a termine la procreazione medicalmente assistita».
«L’embrione non è semplicemente un ammasso di cellule, ma qualcosa di più che merita di essere rispettato. La sentenza della Corte Costituzionale, mantenendo in piedi il divieto di utilizzare gli embrioni congelati per fare ricerca, lo conferma». Ha commentato il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
«Le promesse della ricerca sulle cellule staminali embrionali – aggiunge – vanno ben al di là delle sue reali potenzialità. Nonostante in alcuni Paesi questa venga portata avanti già da diverso tempo non sono stati raggiunti i risultati che molti speravano. L’idea che la ricerca sulle staminali embrionali sia utile per curare malattie gravi oggi intrattabili è, a mio avviso, solo uno slogan che non trova alcun riscontro nella realtà. Mentre le cellule staminali adulte hanno portato a risultati tangibili e trasferibili in clinica, e mentre le cellule pluripotenti indotte hanno portato alla costruzione di modelli sperimentali di malattie, le staminali embrionali non hanno portato a niente. Nonostante la legge 40 sia stata fatta in pezzi in altre occasioni, mantenere intatto il divieto di fare ricerca con le staminali embrionali è, a mio avviso, un messaggio importante. Basta dare priorità a qualcosa che interessa solo una manciata di laboratori, quelli cioè che vorrebbero fare ricerca con le staminali embrionali, e dedichiamoci invece a questioni più urgenti».
Aprire all’uso degli embrioni come materiale biologico utilizzabile in laboratorio avrebbe significato autorizzare di fatto lo sfruttamento della vita umana come cavia da laboratorio, pur con le migliori intenzioni del mondo, dunque violandone l’intangibile dignità.