È in forte aumento, dal 34,3% del 2018 al 54,2%, l’utilizzo di servizi di cloud computing da parte delle PA locali. Sette amministrazioni locali su dieci non hanno una gestione codificata degli eventi di sicurezza ICT. Il 74,0% delle PA locali accede a Internet tramite connessioni veloci (almeno 30 Mbps, Megabit per secondo), mentre raddoppia (35,8%) rispetto al 2018 (17,4%) la diffusione di quelle ultraveloci (almeno 100 Mbps). Il 5,1% delle PA locali (l’81,8% delle Regioni) ha investito in intelligenza artificiale o analisi dei big data o ha pianificato di farlo nel triennio 2022-2024.
L’infrastruttura ICT della PA locale si consolida
Nel 2022, la quasi totalità delle Pubbliche Amministrazioni locali (99,7%) usa pc desktop e il 76,7%
anche pc portatili (63,4% nel 2018).
In generale, si registra una maggiore diffusione di portatili e strumenti di videoconferenza a seguito
della nuova organizzazione del lavoro (ad esempio lo smart working), avviata nella fase pandemica.
Nel 2022, 22 dipendenti su 100 hanno a disposizione un portatile, contro gli 8 su 100 del 2018.
Un ufficio autonomo di informatica è presente nel 95,5% delle Regioni e nel 93,6% delle Province,
mentre sono appena il 21,0% i Comuni che ne dispongono (14,9% nel 2018). L’8,1% dei Comuni ne
ha istituito uno in gestione associata, in particolare in Emilia-Romagna (77,0%).
Aumenta la quota di PA locali nelle quali il personale ha partecipato ad attività formative in ICT (si passa
dal 16,9% del 2018 al 23,9% del 2022). Contestualmente si osserva una quota maggiore di dipendenti
che hanno seguito corsi di formazione ICT (23,5% nel 2022 e 9,5% nel 2018).
Tra le tecnologie volte a ridurre i costi, risulta stabile l’adozione di software open source (50,2% delle
PA locali, 50,9% nel 2018), mentre cresce la quota di enti che si affidano all’acquisto in modalità
e-procurement (da 80,9% a 83,4%).
Le Amministrazioni locali segnano una crescita di circa 20 punti percentuali nell’utilizzo di servizi di
cloud computing rispetto all’edizione precedente dell’indagine. La crescita è costante in tutte le
macroaree territoriali, confermando l’elevato utilizzo soprattutto da parte delle PA locali del Nord-est
(74,0%, 51,9% nel 2018) a fronte dei ritardi di quelle del Nord-ovest (48,4%) e del Mezzogiorno (49,4%).
Migliorano sensibilmente i livelli di disponibilità dei servizi offerti online dalle amministrazioni locali:
passa dal 47,8% del 2018 al 70,3% la quota di enti che offrono la possibilità di avviare e concludere
online l’intero iter del servizio richiesto, dal 68,3% al 83,1% (58,3% nel 2015) gli enti che offrono la
possibilità agli utenti di caricare online documentazione relativa ai servizi richiesti.
Aumenta la formazione ICT per il personale
Gli indicatori relativi alla formazione e alla gestione delle attività legate all’informatica confermano, in
un quadro evolutivo positivo, le differenze strutturali già rilevate nelle edizioni precedenti della
rilevazione.
Nei Comuni l’incidenza della formazione in ICT è legata alla classe di ampiezza demografica: dal 17,3%
di quelli fino a 5mila abitanti (11,5% nel 2018) al 57,6% dei Comuni con oltre 60mila abitanti (era il
46,4% nel 2018). La presenza di rilevanti divari strutturali si rileva anche a livello territoriale: si passa
dal 38,4% dei Comuni del Nord-est che hanno organizzato corsi di formazione informatica al 16,7% di
quelli del Mezzogiorno.
In media il numero di ore di formazione erogate dalle PA locali ogni 100 dipendenti si attesta a 59,0
(23,3 nel 2018) con una differenza notevole tra Comuni di diverse dimensioni (105,7 ore per quelli con
oltre 60mila abitanti contro la media di 61,4 ore registrata per tutti i Comuni).
Le principali tematiche su cui si è svolta la formazione nelle PA locali sono applicazioni e software
specifici (71,4%), sicurezza ICT (49,4%,) argomenti riguardanti il web (42,2%).
Le funzioni informatiche sono affidate in gran parte a fornitori privati (94,7%) in concorso con il
personale interno che comunque risulta in flessione negli ultimi anni (dal 70,8% del 2012 al 63,6%). Nel
caso delle Regioni, è ancora rilevante e in crescita anche l’utilizzo dell’outsourcing verso imprese a
controllo pubblico (dal 72,7% del 2018 al 90,9%).
A fronte della richiesta di diffusione di servizi online è aumentata la necessità di formare il personale
delle Amministrazioni locali nelle aree che la trasformazione digitale e la crisi pandemica hanno reso
più importanti: tra il 2020 e il 2022 il 66,4% delle PA locali ha optato per una formazione specifica sulle
piattaforme abilitanti previste dal Piano Triennale ICT (PagoPA, ANPR, ecc.), il 44,9% sull’identità
digitale (25,6% nel 2018), il 58,7% sui pagamenti telematici (era 44,2%) e il 20,2% sul cloud computing
(era al 7,5% nel 2018).
Cresce il grado di informatizzazione della PA locale
Nonostante lo sviluppo della digitalizzazione, l’89,1% delle PA locali utilizza comunque strumenti
analogici (timbri, firme, sigle) nella protocollazione, anche se, tra queste, circa il 45% lo ha fatto solo
fino a un quarto della documentazione, indicando un miglioramento rispetto al 2018.
Nel 2022 le attività più progredite per l’informatizzazione in rete sono la gestione di altri incassi (ad
esempio quelli legati all’applicazione PagoPA) pari a 70,0% (56,4% nel 2018), la gestione di gare
d’appalto (53,6% rispetto a 44,1% nel 2018) e la gestione dei concorsi (23,5%,16,2% nel 2018).
Il 41,9% delle Amministrazioni locali e la totalità delle Regioni rendono disponibili open data (65,3% dei
Comuni con oltre 60mila abitanti). Sono disponibili dati open soprattutto nell’area dell’Economia e
Finanze (71,7%), dell’e-government (59,4%) e dell’Istruzione, cultura e sport (54,9%). Sono i Comuni
delle Province autonome di Bolzano/Bozen e Trento ad offrire più degli altri dati in formato aperto
(69,0% e 62,0%). In relazione ai livelli di disponibilità degli open data proposti dal Modello per i dati
aperti, le quote degli enti che rendono disponibili questi dati variano dall’88,0% del livello base di
disponibilità all’8,6% del livello massimo.
Le soluzioni di open source adottate dalle Amministrazioni locali sono relative a browser web (94,3%)
e office automation (78,6%), meno diffuse le piattaforme di e-learning (7,2%). Circa il 47,0% degli enti
locali che adottano soluzioni open source sostituiscono del tutto il relativo software a pagamento sia
per i browser web che per le piattaforme di e-learning.
La razionalizzazione degli acquisti avviata negli ultimi anni indica che l’89,1% delle PA locali che
acquistano in modalità e-procurement utilizza Consip nelle procedure di acquisto; il 97,9% effettua
acquisti attraverso piattaforme telematiche (incluso il mercato elettronico MEPA), il 61,7% mediante
convenzioni gestite telematicamente (il 95,5% delle Regioni), il 59,9% utilizza cataloghi elettronici e il
53,1% (95,5% delle Regioni) gli accordi quadro.
Tra i servizi di cloud computing più utilizzati spiccano le applicazioni software (84,8%), la posta
elettronica (76,3%) e l’archiviazione di file (65,6%). Tra i benefici derivanti dall’utilizzo del cloud
computing che le amministrazioni locali indicano di livello medio-alto nel 2022 si evidenziano il
miglioramento dei livelli di sicurezza e privacy (87,7%) e di accessibilità e usabilità dei servizi (83,5%)
oltre che la semplificazione nelle operazioni di aggiornamento software (79,1%). Al 31 dicembre 2022
il 38% delle PA locali non aveva definito un piano di migrazione verso i servizi cloud qualificati da AgID,
mentre l’11,5% l’ha dichiarata come conclusa.
Deciso aumento dei servizi online dedicati alle famiglie
Rispetto alla disponibilità online dei 27 servizi analizzati, il 70,3% delle PA locali (60,3% nel
Mezzogiorno), 86,4% delle Regioni (rispettivamente 47,8% e 54,6% nel 2018) ha dichiarato di rendere
possibile l’avvio e la conclusione per via telematica dell’intero iter relativo al servizio richiesto. Tra i
Comuni spiccano quelli delle regioni Veneto, che conferma il suo primato passando dal 70,8% del 2018
all’87,9% del 2022, Toscana (da 57,3 a 81,3%), Lombardia (da 62,9% a 80,7%) e la Provincia
Autonoma di Bolzano/Bozen (da 51,8% a 80,2%) che offrono almeno un servizio al livello massimo di
disponibilità online.
Diversamente dall’edizione precedente, nel 2022, i servizi offerti online a qualsiasi livello di interazione
non sono più solo quelli destinati soprattutto alle imprese (permessi per costruire, sportello per l’edilizia,
sportello per le attività produttive e dichiarazione inizio di attività), per i quali si conferma il salto di
disponibilità digitale già evidenziato nel 2018 con valori oltre l’80%, ma anche quelli considerati come
servizi alle famiglie. Si tratta soprattutto dei servizi anagrafici che nei Comuni passano da 65,5%
all’83,9%, la carta d’identità (da 58,8% a 70,8%) e la richiesta di contrassegno di invalidità (da 46,1%
a 60,0%), servizi di mensa scolastica (da 55,1% a 66,0%) e contravvenzioni (da 30,8% a 45,5%).
Aumenta anche l’offerta sanitaria online da parte delle Regioni, come per la scelta del medico di base,
passata dal 36,4% al 68,2%, e la richiesta di esenzioni (dal 22,7% al 31,8%).
Il 76,6% delle PA locali dichiara che l’utenza può accedere ai servizi online attraverso l’identità digitale
Spid (era 20,5% nel 2018), per le Regioni tale quota sale al 100% e per i Comuni più grandi al 99%
(rispettivamente 72,7% e 58,2% nel 2018); emergono differenze territoriali tra i Comuni del Nord con
percentuali oltre l’80% e quelli del Mezzogiorno (67,5%). Il 43,9% (21,9% nel 2018) delle PA locali
utilizza la carta nazionale dei servizi (CNS) e per la carta di identità elettronica si passa dal 5,5% del
2018 al 59,6%.
Queste forme di identità digitale hanno sostituito quelle classiche relative a credenziali del tipo nome
utente e password utilizzate al 39,9% delle PA locali nel 2022 rispetto al 50,3% nel 2018. Vengono
indicate anche altre forme specifiche di accesso tramite eIDAS, pec o l’accesso diretto senza alcuna
identificazione.
Aumentano gli enti che misurano obiettivi e risultati della digitalizzazione
La possibilità di monitorare e analizzare l’andamento dell’offerta online dei propri servizi rispetto
all’utenza e all’efficienza dell’organizzazione permette alle Amministrazioni di definire e guidare la
trasformazione digitale verso obiettivi misurabili di miglioramento della qualità dei servizi.
Con riferimento al grado di digitalizzazione, il 38,6% dei Comuni con oltre 5mila abitantiv aveva definito
obiettivi misurabili da raggiungere nel triennio 2020-2022 mentre tale impegno aveva riguardato il
22,1% degli enti rispetto a target 2016-2018.
Il 34,2% delle PA locali nel triennio 2020-2022 ha monitorato lo stato di avanzamento dei progetti
collegati al Piano Triennale per l’informatica nella PA.
Nel triennio 2020-2022 il 28,9% delle PA locali ha monitorato l’utilizzo dei servizi online offerti
dall’Amministrazione, ad esempio raccogliendo informazioni sul numero di utenti, sul numero di accessi
mentre il 21,9% lo ha fatto nel triennio 2016-2018. Queste attività di monitoraggio appaiono più diffuse
tra gli enti di maggiore dimensione con una utenza più ampia (ad esempio riguardano il 95,5% delle
Regioni, il 58,5% delle Province e il 69,4% dei Comuni con oltre 60.000 abitanti).
Il 63,0% delle PA locali (il 53,6% nel Mezzogiorno e il 70,2% nel Nord-est) ha effettuato nel triennio
2020-2022 interventi di natura tecnica, finanziaria o normativa per migliorare i servizi online forniti
dall’Amministrazione, in forte crescita rispetto all’edizione passata (38,7% riferito al triennio 2016-2018)
Nell’82,0% degli enti che li hanno realizzati, tali interventi hanno generato una semplificazione delle
modalità di accesso e presentazione delle istanze; nel 67,5% un aumento della percentuale di richieste
pervenute online sul totale e nel 61,2% un aumento della quota di pratiche evase interamente online
sul totale. Seguono la riduzione dei tempi di attesa per i servizi online (51,2%), la riduzione dei costi
(45,8%) e l’aumento degli indicatori misurabili di soddisfazione dell’utenza (31,1%).
Ancora limitato l’utilizzo di intelligenza artificiale e analisi di big data
Il 5,1% delle PA locali, l’81,8% delle Regioni, ha effettuato o pianificato per il triennio 2022-2024,
investimenti in strumenti innovativi di Intelligenza Artificiale o di tecniche di analisi di Big Data.
A livello dimensionale emergono i Comuni di dimensione maggiore con oltre 60mila abitanti (36,7%) e
tra le Regioni si distinguono quelli della Regione Molise (11%). Le Amministrazioni provinciali del Nord
raggiungono quote più elevate (circa 13%) rispetto a quelle del Centro (5,0%) e del Sud Italia (5,7%).
Tra gli strumenti o tecniche già adottate o che si è programmato di adottare emerge l’analisi dei dati
provenienti da “Internet delle cose” come telecamere, sensori di traffico, centraline meteo, dichiarata
dal 70,9% delle PA locali che ha deciso di investire in tali strumenti innovativi; seguono il 59,9% per
l’analisi dei dati provenienti da “Internet delle persone” attraverso tweet, social media, smartphone e
accessi al sito web, il 37,7% in dashboards e strumenti di visualizzazione dei dati, il 26,4% in chatbot o
assistenti digitali virtuali, il 15,1% in tecniche di analisi di big data come text mining e analisi automatica
del linguaggio.
Nel triennio 2020-2022 i fattori che hanno inciso molto o abbastanza sul processo di digitalizzazione
delle Amministrazioni locali sono legati a obblighi legislativi (89,4%), le direttive provenienti dal Governo
centrale (Agid, Team digitale, ecc.) e locale (88,2%), la disponibilità di finanziamento (78,3%) e la
necessità di contenere i costi (61,8%).
Sette PA su 10 senza gestione codificata degli eventi di sicurezza ICT
Per quanto riguarda la nomina del Responsabile della transizione digitale (RTD)vi, mentre a fine 2018
circa otto PA locali su 10 erano senza RTD, a fine 2022 il 72,1% lo aveva nominato al suo interno o in
forma associata.
All’RTD competono tutte le attività operative e i processi di riorganizzazione funzionali alla realizzazione
di un’amministrazione digitale e aperta, all’erogazione di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, al
raggiungimento di migliori standard di efficienza, al monitoraggio della sicurezza informatica e questo
ruolo richiede competenze specifiche anche tecnologiche. Il 27,8% dei Comuni che aveva nominato un
RTD a fine 2022 lo aveva fatto attribuendo questo ruolo direttamente al Segretario Comunale, il 23,4%
a figure dirigenziali dell’area amministrazione e bilancio, mentre l’86,4% delle Regioni (il 57,0% delle
Province) aveva scelto proprio un direttore dei servizi informativi (16,0% nei Comuni, 73,3% in quelli
con oltre 60mila abitanti).
Il miglioramento delle dotazioni ICT, della gestione in rete e dell’offerta online pone un accento ancor
maggiore sulla necessità di valutare la sicurezza informatica delle PA locali. Il 15,1% delle PA locali ha
nominato un Responsabile per la sicurezza al proprio interno (54,5% delle Regioni) o in gestione
associata; invece, il 21,9% ha affidata la sicurezza ICT all’esterno, tipicamente a un fornitore di servizi
(22,7% delle Regioni). Inoltre, le Amministrazioni locali con processi codificati di gestione degli eventi
di sicurezza informatica (incidenti, allarmi di sicurezza o tentativi di attacco) sono appena il 29,2%
(95,5% delle Regioni).
Nel triennio 2020-2022 le PA locali hanno messo in campo azioni legate alla sicurezza informatica e in
particolare il 79,8% ha acquistato o aggiornato software di sicurezza, il 51,2% ha preferito affidarsi a
incarichi di consulenza a esperti esterni, il 36,0% ha elaborato o modificato protocolli di difesa e/o
prevenzione, il 27,2% ha investito in formazione aggiuntiva al personale sulla sicurezza informatica, il
2,7% ha potuto assumere personale dedicato alla sicurezza informatica, e un’ultima parte ha indicato
il disaster recovery come ulteriore area di azione.
Focus sui Comuni delle 14 Città Metropolitane
Per organizzare le attività ICT, i Comuni che più degli altri hanno scelto di dotarsi di un ufficio autonomo
di informatica sono quelli appartenenti alle Città metropolitane di Cagliari (70,6%), Venezia (65,9%) e
Napoli (65,2%); al contrario i Comuni metropolitani di Bologna preferiscono una organizzazione
associata degli uffici di informatica (90,9%) mentre quelli di Firenze una gestione sia interna (48,8%)
che in forma associata (31,7%).
In termini di formazione in campo ICT i Comuni più attivi sono invece quelli delle Città metropolitane di
Firenze e Milano (rispettivamente 56,1% e 41,8%). La partecipazione più bassa si rileva invece nei
Comuni situati nei territori metropolitani di Cagliari (6,0%), Reggio di Calabria (14,7%) e Genova
(15,7%).
La quasi totalità dei Comuni di tutte le aree metropolitane si affidano a fornitori esterni per la gestione
delle funzioni ICT, con meno rilievo per quelli della Città metropolitana di Bologna che preferisce la
cooperazione con altre PA e l’utilizzo di personale interno. Quest’ultima modalità di gestione
caratterizza i Comuni delle aree metropolitane di Firenze (97,6%) e Venezia (90,9%) a fronte del 61,7%
dei Comuni non appartenenti ad aree metropolitane.
Nell’uso di software open source i Comuni della Città metropolitana di Bologna, Firenze e Venezia
registrano quote oltre il 90%, mentre la quota più bassa è riferita all’area metropolitana di Roma
(38,0%).
Il ricorso al cloud computing è particolarmente evidente nell’area di Bologna (87,3%) e Venezia
(86,4%).
Sulla velocità di connessione per accedere a Internet emerge la Città Metropolitana di Bologna, dove i
Comuni che utilizzano connessioni ad almeno 100 Mbps sono il 92,7% (erano già l’84,3% nel 2018).
Nelle ultime posizioni i Comuni dell’area metropolitana di Torino (20,2%) e Genova (25,4%).
Le migliori performance, in termini di livello di disponibilità per l’offerta di servizi online riguardano le
aree metropolitane di Bologna e Milano. Gli interventi di miglioramento messi in atto nel triennio 2020-
2022, sono ascrivibili soprattutto alle aree delle Città metropolitane di Bologna e Firenze.
Considerando 12 indicatori tra i principali rilevati dall’indagine è possibile individuare le migliori
performance nelle aree metropolitane di Bologna, Milano, Cagliari, Torino, Bari.