Un comune non può farsi pagare per concedere a una società di costruire una centralina idroelettrica. Un recente pronunciamento del Consiglio di Stato ha stabilito che gli accordi di questo tipo, che prevedono un compenso economico in cambio del permesso di costruire, sono nulli.
La sentenza n. 6894 del 4 agosto 2025 del Consiglio di Stato, sezione IV, ha messo fine a una lunga diatriba legale. Il caso riguarda un Comune e una società privata, che avevano stipulato un accordo nel 2011. Questo accordo prevedeva che la società, in cambio del permesso per realizzare un impianto idroelettrico, versasse al comune un canone annuale in denaro fino al 2038.
Con la sentenza in rassegna i Giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che è nullo un accordo procedimentale, stipulato ai sensi dell’art. 11, legge 7 agosto 1990, n. 241, tra un comune e una società operante nel settore della produzione elettrica, che contempla la corresponsione di un canone annuo in favore del comune per la realizzazione di un impianto idroelettrico, non potendosi applicare a detto accordo, ratione temporis, la norma di cui all’art. 1, comma 953, della l. 145 del 2018, che ha introdotto una sanatoria generalizzata per le pattuizioni di carattere patrimoniale intervenute tra gli operatori del settore dell’energia elettrica e gli enti locali “sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010”. (1).
Nella fattispecie il Comune di Ton e Rotalenergia avevano stipulato un accordo procedimentale ai sensi dell’art. 11 l. 241 del 1990, in data 11 maggio 2011 prot. n. 2151, il quale prevedeva a seguito del rilascio del permesso edilizio in deroga da parte del consiglio comunale, l’impegno della società “a contribuire alla soddisfazione del fabbisogno energetico del comune” non mediante “il trasferimento diretto di energia prodotta dalla centralina”, bensì “in via indiretta”, mediante una dazione di denaro per tutto il periodo di durata della concessione (dunque almeno fino al 2038).
Le compensazioni richieste dagli enti locali per il rilascio dell’autorizzazione unica per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non possano avere carattere meramente patrimoniale o di corrispettivo monetario, potendo essere richieste soltanto misure di carattere ambientale e territoriale, ossia volte al recupero dei valori ambientali eventualmente compromessi per via della realizzazione degli impianti per la produzione di energie rinnovabili; donde la nullità delle convenzioni che prevedono corrispettivi economici. (2).
Corte cost., 23 marzo 2021, n. 46 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 – sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali sanciti dagli artt. 6 CEDU, 1 Prot. addiz. CEDU, e 2 del Protocollo di Kyoto – il quale, al fine di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale alle Linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il successivo 3 ottobre, dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle stesse. Secondo la Corte il fulcro della norma censurata – costituito dall’obbligo a contrattare per la revisione degli accordi stipulati prima del 3 ottobre 2010, per renderli conformi alle indicate Linee guida, sentita la conferenza dei servizi – è inserito in una regolamentazione più ampia, secondo un bilanciamento ponderato e ragionevole, al fine di garantire la concorrenza e promuovere la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Peraltro, secondo la Corte, la conferma di quanto previsto dalla fonte regolamentare non frustra il diritto di azione dell’operatore per promuovere l’azione di nullità delle clausole di “vecchi” accordi, né sono violati i principi della separazione dei poteri e del giusto processo, perché il mantenimento dell’efficacia dei “vecchi accordi” non ha alcuna portata sanante di una asserita invalidità sopravvenuta.
L’azione di nullità proposta relativamente alle clausole di un accordo ex art. 11, l. 7 agosto 1990 n. 241, rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 133 comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a., avente una valenza puramente ed esclusivamente economica, non è soggetta al termine di decadenza, ex art. 31 comma 4 c.p.a., bensì all’art. 1422 c.c., secondo il quale l’azione di nullità non è soggetta a prescrizione. (3).
In motivazione la sentenza ha precisato che la giurisprudenza citata dal comune appellante – in particolare Cons. Stato, sez. III 3 luglio 2019 n. 4566, sez. III 3 gennaio 2018 n. 28, sez.VI, 5 luglio 2022 n. 5593 e C.g.a., sez. giur., 26 ottobre 2020 n. 991 – si riferiva a fattispecie relativi alla impugnativa di provvedimenti amministrativi in sede di domande impugnatorie e quindi rientranti nell’ambito della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
(1) Non risultano precedenti negli esatti termini
(2) Conformi: Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2022, n. 837, secondo cui in tema di energie rinnovabili, con la previsione dell’art. 1, comma 953, della L. 30 dicembre 2018, n. 145, le misure previste dal legislatore hanno l’obiettivo, ad un tempo, di garantire la concorrenza, riallineando le condizioni degli operatori del settore, quanto all’onere delle misure compensative e di riequilibrio ambientale, e, altresì, di promuovere la tutela dell’ambiente e del paesaggio, con misure compensative specifiche e non già (solo) per equivalente; Cons. Stato, sez. III, 18 gennaio 2021, n. 558 secondo cui “in ordine alla norma di sanatoria di cui all’art. 1, comma 953, del 30 dicembre 2018, n. 145, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale, con plurime ordinanze (Sez. V., ordd. nn. 677, 678, 679 del 2020 n. 8822 del 2019) la questione relativa alla sua conformità a molteplici articoli della Costituzione (artt. 3, 24, 11, 117, 3 e 41) nella parte in cui – in materia di autorizzazione degli impianti di energia rinnovabile – prevede che eventuali accordi recanti compensazioni di natura meramente patrimoniale, e non soltanto di carattere strettamente ambientale, siano comunque fatti salvi ove stipulati prima della entrata in vigore della Linee Guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, in quanto una simile previsione introduce una sanatoria generalizzata ed indiscriminata che appare porsi in contrasto sia con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, vanificando di fatto diverse pronunzie giurisdizionali che avevano già dichiarato la nullità di simili accordi, sia con gli obblighi di matrice internazionale e comunitaria che intendono favorire il massimo sviluppo di tali forme di “energia pulita”; Corte costituzionale 1 aprile 2010, n. 124 – concernente una questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alla legge della Regione Calabria n. 42 del 2008, nella parte in cui stabiliva una serie di condizioni e di oneri economici per il rilascio dell’autorizzazione unica per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili – che ha dichiarato l’incostituzionalità in parte qua della legge regionale poiché erano ivi previsti oneri e condizioni a carico del richiedente l’autorizzazione che si concretizzavano in vantaggi economici per la regione e per gli altri enti locali e, quindi, si configuravano quali compensazioni di carattere economico espressamente vietate dal legislatore statale.
(3) Non risultano precedenti negli esatti termini
Fonte: Ufficio Massimario del Consiglio di Stato