Non esiste ancora una definizione rigorosa del termine big data: secondo wikipedia Big data (“grandi dati” in inglese) è un termine adoperato per descrivere l’insieme delle tecnologie e delle metodologie di analisi di dati massivi. Il termine indica la capacità di estrapolare, analizzare e mettere in relazione un’enorme mole di dati eterogenei, strutturati e non strutturati, per scoprire i legami tra fenomeni diversi e prevedere quelli futuri.
Per quanto di dati ve ne siano davvero in quantità indicibile, la vera rivoluzione a cui ci si riferisce parlando di Big Data non è questa, quanto la capacità di usare tutti queste informazioni per elaborare, analizzare e trovare riscontri oggettivi su diverse tematiche.
Quello dell’analisi dei Big data è un mercato in forte crescita: quest’anno l’incremento è stato del 22%, e ha fatto raggiungere un valore complessivo di 1,1 miliardi di euro. E’ uno dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Big data della School management del Politecnico di Milano, realizzata intervistando 1.100 manager responsabili delle tecnologie di informazione e comunicazione. Quasi la metà delle grandi aziende ha già al proprio interno almeno un ‘data scientist’, cioè una figura professionale deputata ad analizzare i macrodati aziendali. Un dato in forte crescita, visto che è passato dal 31% delle imprese del 2016 all’attuale 45%. Le imprese che hanno un data scientist in organico dichiarano di volerne assumerne altri nei prossimi 12 mesi (+46%). E tra quelle che non l’hanno, il 29% prevede di introdurrlo, in quasi la metà dei casi già entro l’anno prossimo.
Il mercato resta appannaggio delle grandi imprese, che si dividono l’87% della spesa complessiva, mentre le Pmi si fermano a una quota del 13%, anche se i loro investimenti aumentano del 18% rispetto allo scorso anno. Il 42% della spesa per gli Analytics è dedicata ai software (database, strumenti e applicativi per acquisire, visualizzare e analizzare i dati), il 33% ai servizi (personalizzazione dei software, integrazione con sistemi informativi aziendali e riprogettazione dei processi), il 25% alle infrastrutture abilitanti (capacità di calcolo, server e storage ).
Nel 2017 cresce il mercato e cresce la consapevolezza delle aziende italiane delle opportunità offerte: il 43% dei Cio italiani vede la Business Intelligence, i Big Data e gli Analytics come la principale priorità di investimento nel 2018. Tuttavia, il processo di trasformazione delle tradizionali imprese italiane in ‘big data enterprise’ è ancora lungo: soltanto il 17% ha raggiunto un buon livello di maturazione (contro l’8% del 2016), mentre il 26% si trova in una fase di riconfigurazione dei propri processi organizzativi e il 55% è rimasto legato a un modello organizzativo tradizionale, in cui le singole unità di business analizzano i dati di propria competenza senza una visione aziendale complessiva.
I dati raccolti dal Politecnico evidenziano che il settore più interessato dalla rivoluzione è quello bancario (28%), seguito da manifatturiero (24%), telco e media (14%), PA e sanità (7%), servizi (8%), grande distribuzione organizzata (7%), utility (6%) e assicurazioni (6%). Se si prende in considerazione la crescita però guidano la graduatoria assicurazioni, manifatturiero e servizi, con tassi superiori al 25%.
Perché si investe? Per il miglioramento dell’engagement con il cliente (70% dei casi), per aumentare le vendite (68%), ridurre l’arrivo sul mercato (66%) o ampliare la rosa di prodotti e servizi e l’ottimizzazione dell’offerta attuale per aumentare i margini (64% ciascuno).
“Il valore del mercato Analytics – commenta Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio – continua a crescere a ritmi elevati e quest’anno ha superato la soglia del miliardo di euro. È il segnale che le grandi imprese ormai conoscono le opportunità offerte dai Big Data e hanno una strategia data driven orientata agli aspetti predittivi e all’automatizzazione di processi e servizi. L’utilizzo dei Big Data Analytics è indispensabile per non rischiare di perdere capacità competitiva: le imprese che negli anni scorsi hanno saputo approfittarne, affiancando all’innovazione tecnologica un modello organizzativo capace di governare il cambiamento, oggi si trovano in portafoglio processi più efficienti, nuovi prodotti e servizi con un ritorno dell’investimento certo e misurabile”.
“Le grandi imprese – sottolinea Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence – hanno compiuto grandi passi in avanti, con un maggiore investimento di risorse ma anche di competenze, come dimostra il 45% di aziende che ha inserito figure di data scientist in organico. Anche le pmi mostrano un diffuso interesse per l’analisi dei dati, con l’utilizzo di strumenti di data visualization e analytics di base, ma anche servizi di supporto alle attività di marketing. Sebbene coprano ancora oggi soltanto il 13% del mercato, la crescita della spesa è un segnale che, seppur più lentamente, si stanno muovendo nella giusta direzione”.